Un focus per non dimenticare il senso del dovere e delle istituzioni nel discorso del giudice Borsellino
“La lotta alla mafia non deve essere solo una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolge tutti. E specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà. Profumo che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”. Parole queste riportate testualmente da uno degli ultimi discorsi ufficiali del giudice Paolo Borsellino.
Un discorso che veniva pronunciato a seguito dell’attentato in cui perdeva la vita l’amico e collega Giovanni Falcone. Un monito alle giovani generazioni che, insieme al testamento spirituale di Falcone, anno dopo anno, merita di essere riascoltato. Ed è con questo intento di rendere un minimo contributo alla grandezza dell’uomo e del magistrato Paolo Borsellino, che ci apprestiamo a questo omaggio della memoria. E lo facciamo concentrando l’attenzione su: “Il senso del dovere e delle istituzioni nel discorso del giudice Borsellino”.
Coscienza e istituzioni
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“La gente fa il tifo per noi” è l’ulteriore stralcio del discorso del giudice Borsellino. Ma questa volta, il magistrato intendeva riportare una frase che il collega Falcone gli aveva riferito. Frase pronunciata in quel primo periodo di “entusiasmo iniziale” che accompagnò il lavoro del pool antimafia. “E con ciò – è sempre Borsellino a specificare – non intendeva solo riferirsi al conforto che l’appoggio morale dà al lavoro del giudice. Significava qualcosa di più! Significava anche che il nostro lavoro stava smuovendo le coscienze”. Un risveglio delle coscienza che, specie a seguito dell’attentato di Capaci, in lui sembra avere i connotati della lacerazione interna. Perchè un conto è che a tradire la nostra fiducia siano i nostri più acerrimi nemici. Un conto è che, a farlo, siano coloro che ti danno il gomito e che ti siedono addirittura a fianco nella vita e nel lavoro.
Senso del dovere e istituzioni
Riprendiamo il senso del dovere e delle istituzioni nel discorso del giudice Borsellino. E vediamo come sono ancora le sue parole a instradare nella direzione del tradimento. “Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”. Una profetica sentenza di condanna a morte verso se stesso. Ma come era solito dire Falcone: “Gli uomini passano, ma le idee restano e camminano sulle gambe di altri uomini”. Un passaggio di testimone che, in questo caso, resta in famiglia, con dei tratti che hanno dello straordinario.
L’eredità di Borsellino
La prima a raccogliere l’imponente eredità quanto a senso del dovere, valori, abnegazione e sacrificio di sé è una ragazza all’epoca, poco più che ventenne. Il suo nome è Lucia Borsellino, figlia del magistrato e, al tempo, studentessa di giurisprudenza. Per la dottoressa Borsellino lunedì 20 luglio 1992 doveva essere una data di appello per esame universitario. Ma giusto una manciata di ore prima, in Via d’Amelio, si consumava un efferato attentato in cui il padre e giudice Borsellino perdeva la vita.
Al di là di ogni ragionevole supposizione, la laureanda e studentessa Borsellino, si presentò regolarmente a sostenere l’esame, davanti ad una sbalordita commissione esaminatrice. E questo dopo aver compiuto il pietoso ufficio della ricomposizione dei “cari resti” nella camera mortuaria. Parfrasando l’illuminante frase di Falcone, i grandi uomini passano, ma i valori restano e camminano sulle gambe di altri grandi uomini e donne.