La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 1034 del 14/01/2022, ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di effetti del reperimento di contabilità “in nero”. Nella specie, la Commissione Tributaria Regionale aveva rigettato l’appello proposto dalla società contribuente. Le contestazioni fiscali attenevano alla irregolare tenuta dei libri contabili, anche a seguito del reperimento di documenti di natura extracontabile. Da tale documentazione i verbalizzanti avevano dedotto l’avvenuta cessione di prodotti senza emissione delle relative fatture. Per l’anno di imposta in esame era stata quindi rideterminata la percentuale di incidenza delle vendite senza fattura sul totale dei ricavi dichiarati. Il giudice d’appello, condividendo la pronuncia di primo grado, confermava la correttezza delle riprese oggetto dell’avviso impugnato. Avverso tale sentenza la società proponeva infine ricorso per cassazione, lamentando il fatto che il giudice di secondo grado aveva unilateralmente valutato il quadro probatorio.
La decisione
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La Cassazione respingeva il ricorso. La Suprema Corte evidenzia che la ricorrente richiedeva, in sostanza, una (inammissibile) rivalutazione del materiale probatorio posto dal giudice d’appello a base della decisione sfavorevole. La società, evidenziava l’esistenza di fatti decisivi e contrari all’accertamento compiuto dal giudice del merito, introdotti nel processo, ma non valutati. Tali non erano però, secondo la Cassazione, i documenti extracontabili reperiti in sede di verifica.
Il rinvenimento di contabilità parallela prova l’avvenuta evasione fiscale
Si trattava, in particolare, di “contabilità riservata”, reperita nella borsa della vice presidente del consiglio di amministrazione della società. Borsa aperta a seguito di autorizzazione dell’autorità giudiziaria dopo il diniego dell’interessata. Tali rilevanti elementi di prova erano stati peraltro incrociati con il contenuto delle dichiarazioni rese da un ex dipendente. In sostanza, conclude la Cassazione, il rinvenimento di contabilità parallela prova l’avvenuta evasione fiscale
Conclusioni
In conclusione, il giudice di merito aveva consapevolmente e correttamente valutato il materiale probatorio. E questo anche nella consapevolezza del contrasto esistente tra colui che aveva reso la testimonianza e il precedente datore di lavoro. La Commissione Tributaria Regionale aveva infatti soppesato e contestualizzato l’attendibilità di tali dichiarazioni, confrontandole con i dati contabili “paralleli” rinvenuti in sede di verifica. E sulla base di questo compendio di elementi di prova erano stati appunto individuati incassi conseguenti alla vendita di merce senza emissione di fatture. La motivazione della sentenza era del resto immune da vizi logici anche quanto alla determinazione della misura del “nero”. Sotto tale profilo, infatti, la società contrapponeva soltanto una propria, insufficiente, “rilettura” del fatto, inammissibile peraltro nel giudizio di Cassazione.