Una manciata di giorni fa la COVIP (Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione) ha presentato alla Camera dei Deputati la solita relazione annuale. Un’occasione utile per far il punto della situazione sullo stato di salute dei settori vigilati, ossia Casse di previdenza e fondi pensione.
Sintetizziamo i passaggi chiave del rapporto. Anticipiamo solo che il fondo pensione di questi fortunati lavoratori ha battuto il TFR tanto nel 2021 tanto negli ultimi 10 anni. Vediamo di capire di quale forma pensionistica integrativa stiamo parlando.
Una panoramica allo stato di salute dei fondi pensione nel 2021
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I fondi pensione censiti al termine dello scorso anno erano 349. Di questi, 40 erano del tipo aperti e 33 chiusi, mentre 72 appartenevano alla categoria dei PIP (Piani Individuali Pensionistici). I fondi preesistenti si attestavano a quota 204. In generale si assiste a una costante razionalizzazione dell’offerta.
Gli iscritti sono risultati pari a 8,8 milioni (+3,9% sul 2020), per un totale di 9,7 milioni di posizioni in essere. Il tasso di adesione coinvolge il 34,7% della forza lavoro. A farla da padrona sono i fondi negoziali e i PIP “nuovi”, con 3,4 milioni di iscritti per categoria. Seguono i fondi aperti (1,7) e gli iscritti ai fondi preesistenti (620mila unità).
Tuttavia, a colpire sono le divergenze di genere, di generazione e di ripartizione geografica. Sebbene per un lavoratore sia conveniente iscriversi a un fondo pensione già alla prima occupazione, il peso dei giovani sul totale è residuale. Spiccano infatti gli iscritti appartenenti alle classi di età intermedie (il 50,3% nella fascia 35-54 anni) e quella successiva (il 31,9%).
Infine prevalgono le adesioni di uomini (il 61,8%) sulle donne e la residenza nelle regioni del Nord (il 57% del totale).
Il fondo pensione di questi fortunati lavoratori ha battuto il TFR rendendo l’11% nel 2021 e il 5% medio annuo negli ultimi 10
Quanto all’allocazione degli investimenti, prevalgono gli impieghi nei bond sovrani e altri titoli di debito (il 53,7% del patrimonio).
Il capitolo più interessante per il lavoratore è tuttavia quello che rimanda al rapporto costi-rendimenti. Partiamo da questi ultimi. Il rendimento dei fondi negoziali e aperti nel 2021, al netto della fiscalità e dei costi di gestione, è stato rispettivamente pari al 4,9% e al 6,4%. Meglio hanno fatto i PIP di ramo III, il cui rendimento è volato all’11% (e l’1,3% per le gestioni separate di ramo I).
In pratica il fondo pensione di questi fortunati lavoratori ha battuto il TFR, che nel 2021 si è rivalutato del 3,6% al netto della fiscalità.
Tuttavia, i PIP restano i prodotti più costosi, mentre i fondi negoziali i più economici. Su un orizzonte di 10 anni, l’ISC dei PIP è del 2,18% (1,88% per il ramo I e il 2,34% per il ramo III) e quello dei fondi negoziali allo 0,45% (l’1,36% per quelli aperti).
Il rendimento medio decennale premia i fondi pensione
Infine, il rapporto COVIP allarga lo sguardo agli ultimi 10 anni per stimare qual è stato il rendimento medio annuo.
Mentre la rivalutazione media annua del TFR si è attestata all’1,9%, molto meglio hanno fatto i fondi pensione. Quelli aperti hanno reso mediamente il 4,6% mentre quelli chiusi il 4,1%. Quanto ai PIP, infine, si passa dal 2,2% di quelli di ramo I al 5% di quelli c.d. “nuovi”.
Approfondimento
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