Il datore di lavoro risponde dell’operato degli ausiliari, anche quando dal loro operato emerga una sua evasione fiscale. Studiamo il caso.
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 24046 del 30/10/2020, ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di responsabilità fiscale dell’imprenditore a causa del comportamento di dipendenti infedeli. Nel caso di specie, a seguito di verifiche effettuate dalla Guardia di Finanza, era stato notificato ad una società un avviso di accertamento. L’Amministrazione finanziaria riteneva che, a fronte di un reddito dichiarato pari ad Euro 43.495,00, il reddito effettivamente conseguito dall’impresa, esercente un distributore di carburanti, fosse, in realtà, di Euro 170.500,00. In particolare, i rilievi attenevano alla contabilizzazione sul registro giornaliero di un incasso ridotto, per ogni litro di carburante erogato, di Euro 0,02. La società impugnava l’avviso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli e contestava, tra l’altro, che l’alterazione della contabilità risultava ascrivibile alla condotta di due dipendenti infedeli, che erano stati pure denunciati.
Il giudice di primo grado rigettava il ricorso. La società proponeva appello alla Commissione Tributaria Regionale, la quale osservava che le gravi irregolarità a base dell’avviso di accertamento erano dati di fatto acquisiti e neppure contestati dalla società. E la tesi che insisteva nell’affermare la responsabilità esclusiva di due dipendenti infedeli per i fatti di evasione non risultava efficace, perché il datore di lavoro è comunque responsabile dell’operato dei suoi dipendenti.
Il ricorso per cassazione
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Avverso la decisione la società proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo che la sentenza non aveva rispettato l’essenziale principio della capacità contributiva. La CTR non aveva infatti a suo avviso tenuto conto dello svolgimento dei fatti e delle denunce sporte nei confronti dei dipendenti infedeli, che soli avrebbero potuto avvantaggiarsi delle irregolarità. E in tal modo, secondo la società, si facevano ricadere le conseguenze sull’esercente del distributore di carburanti, il quale però non aveva percepito alcuna somma oltre il dichiarato. In tal modo si imputava quindi alla società una sorta di inammissibile responsabilità oggettiva. La contribuente invocava anche l’applicazione del principio della vicinanza della prova, laddove l’Agenzia avrebbe dovuto accertare la corretta e doverosa applicazione dei tre principi costituzionali di capacità contributiva, correttezza ed imparzialità.
La decisione
Le ragioni di contestazione proposte dalla società ricorrente, secondo la Suprema Corte, non coglievano la ratio decidendi adottata dalla CTR e il ricorso era comunque infondato. Nella gestione societaria erano state accertate numerose irregolarità, tra cui l’annotazione, nelle scritture contabili ufficiali, dell’avvenuta vendita del carburante ad un prezzo inferiore rispetto a quello effettivamente percepito. E questa chiara ragione della decisione non era affatto contrastata dalla ricorrente. La contribuente pretendeva piuttosto, invocando principi costituzionali, di non essere assoggettata al pagamento dei tributi perché del reddito aggiuntivo si sarebbero appropriati dipendenti infedeli. Ma, rileva la Cassazione, per regola generale, il datore di lavoro risponde dell’operato degli ausiliari, anche quando dal loro operato emerga una sua evasione fiscale. E nella specie la società non aveva neanche provato di essere stato impedito nello svolgimento della doverosa attività di vigilanza.