Il datore di lavoro può licenziare e chiedere i danni al dipendente che non rispetta quest’obbligo anche violando la sua privacy

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È noto come il rapporto di lavoro faccia sorgere una serie di diritti e di obblighi per lavoratore e datore di lavoro. Alcuni di questi sono particolarmente rilevanti. Per il datore di lavoro, ad esempio, è fondamentale rispettare il dovere di mettere in sicurezza i suoi lavoratori e pagare lo stipendio. Mentre per il dipendente è importantissimo rispettare le mansioni, gli orari di lavoro e le principali regole comportamentali.

In questo senso è molto interessante l’articolo 2119 codice civile che prevede il licenziamento per giusta causa. Infatti, quando il lavoratore realizza un illecito disciplinare molto grave, il datore di lavoro può subito licenziarlo. L’illecito deve essere così grave da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro, nemmeno in via provvisoria.

Obblighi del dipendente e del datore di lavoro

Tra i diritti del lavoratore c’è anche sicuramente quello alla privacy. Tale diritto può entrare in contrasto con il diritto del datore di lavoro ad avere dei dipendenti che rispettino le regole comportamentali dell’azienda. Queste, come si è visto, se violate possono anche portare al licenziamento immediato. Un’interessante sentenza della Corte di Cassazione, numero 33809 del 2021, è intervenuta sull’argomento. Ed ha spiegato che il datore di lavoro può licenziare e chiedere i danni al dipendente quando violi gli obblighi comportamentali in maniera grave. E può farlo anche violando la sua privacy.

Il caso analizzato era quello di un dipendente che aveva passato informazioni riguardo prodotti aziendali a terzi e ne aveva facilitato la contraffazione. Il datore di lavoro gli aveva chiesto un ingente risarcimento dei danni. Nei primi gradi di giudizio, il Tribunale e la Corte di Appello avevano ritenuto le prove ottenute dal datore di lavoro inutilizzabili e salvato il dipendente dal risarcimento.

Il datore di lavoro può licenziare e chiedere i danni al dipendente che non rispetta quest’obbligo anche violando la sua privacy

Infatti, il datore di lavoro aveva acquisito la prova di questa infedeltà recuperando dei dati cancellati dal computer aziendale dell’ex dipendente. In particolare, entrando nel suo account privato di Skype. I giudici dei primi gradi di giudizio ritenevano questo comportamento illegittimo e dunque ritenevano le prove così ottenute non utilizzabili. La Cassazione ha ribaltato questa decisione spiegando che occorre bilanciare la privacy del dipendente con la necessità di tutela dei diritti in giudizio. La Corte ha fatto notare come il diritto di difesa in giudizio prevale generalmente su quello di inviolabilità della corrispondenza.

Per altro il diritto di difesa non va limitato solo al giudizio davanti al giudice vero e proprio, ma ricomprende anche le attività dirette ad acquisire le prove di quello che si sostiene. Questa attività è considerata ricompresa nel diritto di difesa, anche prima dell’inizio del giudizio. E dunque, l’attività di ricerca dei dati del datore di lavoro deve ritenersi lecita perché ricompresa nel suo diritto di difesa che supera quello alla privacy del lavoratore.

Approfondimento

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