“L’importante non è stabilire se uno ha paura o meno. E’ saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza”. Il coraggio e la paura: il testamento spirituale di Giovanni Falcone. Queste le testuali parole pronunciate dal magistrato in una delle sue ultime video interviste. Un monito che, a distanza di tempo, suona come una sorta di testamento spirituale per le generazioni successive. E al contempo, dà la misura della statura professionale e interiore di questo gigante dell’umanità, dinnanzi al quale non si può che nutrire una sorta di timore reverenziale.
Un destino scritto nel nome
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Giovanni, Salvatore, Augusto: questi i nomi con cui il magistrato Falcone risulta registrato all’anagrafe. Un tris che, in poche lettere, evoca riferimenti a grandi uomini, guide spirituali e figure storiche di rilievo. Si chiamava Giovanni il discepolo prediletto di Gesù, il cui sinonino è appunto Salvatore, e Augusto è stato il primo imperatore romano. Se dunque è vero il detto che “il destino è scritto nel nome”, la vita di Giovanni Falcone ne è una evidente dimostrazione.
Il messaggio ai posteri
E’ sempre Falcone a dire che: “il vigliacco muore più volte al giorno, il coraggioso una volta sola”. E oggi in cui si vive con la paura di essere colpiti dall’arma potenzialmente letale del coronavirus , queste parole si imprimono a caratteri di fuoco. Una paura con la quale il magistrato del noto pool antimafia, di cui in questi giorni si celebra il triste anniversario della morte, sembrava convivere in una sorta di pacificata rassegnazione.
Alla giornalista che lo incalzava sul motivo alla base della sua scelta di vivere perennemente blindato, Falcone, con un accenno di sorriso, si limitava ad appellarsi allo “spirito di servizio”. Un’apparente seraficità che umanamente stenta a conciliarsi con il suo confinamento nel piano ammezzato di quello che è stato ribattezzato come il “Palazzo dei veleni”.
Il coraggio e la paura: il testamento spirituale di Giovanni Falcone
Un magistrato che, insieme all’amico e collega Paolo Borsellino, stando alle parole del Procuratore di Palermo, può essere definito “unico”. Uno spirito di servizio e abnegazione che sconfina nell’eroismo. Tra i testimoni silenziosi di una vita spesa nella lotta alla mafia: una penna stilografica e un libro intitolato: “Un mestiere difficile. Il magistrato”. Entrambi, a quanto sembra, ancora lì, appoggiati sulla scrivania del magistrato, simbolo della lotta alla mafia.