Il contribuente, indipendentemente dai termini per la dichiarazione integrativa, può sempre giudizialmente opporsi alla pretesa tributaria. Studiamo il caso.
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 16658 dell’11/06/2021, ha chiarito quando e come è possibile emendare un errore nella dichiarazione dei redditi. Nella specie, l’Agenzia delle Entrate aveva notificato una cartella di pagamento, con la quale, a seguito di controllo formale, aveva recuperato un minor credito Iva.
Tale minor credito derivava dalla mancata esposizione delle dichiarazioni di compensazione effettuate utilizzando crediti Iva dei primi tre trimestri dell’anno. La società contribuente aveva quindi proposto ricorso, evidenziando che, con la successiva dichiarazione dei redditi, aveva corretto l’errore, indicando il minor credito effettivamente spettante. La Commissione aveva accolto il ricorso, ritenendo che, sebbene la dichiarazione fosse tardiva, questa era stata comunque presentata prima della emissione della comunicazione di irregolarità. L’Ufficio, evidenziavano i giudici, era stato quindi edotto della volontà della contribuente di emendare la dichiarazione.
L’Agenzia delle Entrate proponeva poi appello, rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale. I giudici di secondo grado davano ancora rilievo alla circostanza che la contribuente aveva presentato la dichiarazione integrativa. E affermavano che il fatto che questa fosse tardiva non rilevava ai fini della verifica della manifestazione di volontà di correggere l’errore della precedente dichiarazione. Tale circostanza, sottolineava la CTR, rilevava, eventualmente, solo ai fini della irrogazione della sanzione. L’Agenzia delle Entrate proponeva infine ricorso per la cassazione. Secondo l’Amministrazione finanziaria, la CTR aveva infatti erroneamente ritenuto che la contribuente avesse presentato una formale dichiarazione integrativa. La contribuente, invece, aveva presentato una dichiarazione relativa all’anno successivo, alla quale non poteva attribuirsi la funzione di correggere l’errore relativo alla dichiarazione precedente.
La decisione
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Secondo la Suprema Corte la censura era infondata. Evidenziano i giudici di legittimità che non poteva essere disconosciuta alla successiva dichiarazione, anche se tardiva, la funzione di emendare la precedente. Il ritardo, e quindi l’omessa dichiarazione, rilevava infatti solo ai fini dell’applicazione della sanzione. La Corte analizza dunque la possibilità di emendare la dichiarazione per correggere errori che abbiano determinato un maggior reddito, o un maggior debito d’imposta. E rileva che ciò è possibile mediante la dichiarazione integrativa, esercitabile non oltre il termine per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo.
Quanto alla possibilità di emendare la dichiarazione conseguente ad errori che possono determinare un danno per l’Amministrazione, questa è ammessa entro i termini per l’accertamento. In sostanza, il contribuente, indipendentemente dai termini per la dichiarazione integrativa, può sempre giudizialmente opporsi alla pretesa tributaria. E lo può fare allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione.
Osservazioni
Oggetto del contenzioso, a prescindere dai termini per la presentazione delle dichiarazioni, integrative, è in questi casi solo l’accertamento circa la legittimità della pretesa impositiva. In generale, infatti, le denunce dei redditi costituiscano comunque dichiarazioni di scienza. E le stesse, in presenza di errori che espongano il contribuente al pagamento di tributi maggiori di quelli dovuti, possono quindi essere emendate. L’emendabilità degli errori commessi nella dichiarazione, in ogni caso, deve circoscriversi all’indicazione di quei dati che integrino errori tipicamente materiali, ovvero anche formali.