Abbiamo già trattato in altre occasioni il tema di come talora la giurisprudenza connoti in modo particolare determinate norme, delimitando confini e ampiezza di certe fattispecie.
In ambito penale un caso particolare, che a seguito di un certo orientamento interpretativo assume determinate caratteristiche, che lo rendono decisamente differente rispetto alla disciplina normativa, è quello del furto nei supermercati.
Furto aggravato da esposizione alla pubblica fede e organizzazione del supermercato. Quali conseguenze processuali?
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A tale riguardo, dobbiamo partire dalla normativa del codice penale, che contempla due sostanziali ipotesi di furto, quello semplice e quello aggravato.
Nel primo caso, opera la perseguibilità a querela dell’offeso, mentre nel secondo caso la perseguibilità d’ufficio.
Cosa significa?
La maggior parte dei reati è perseguibile d’ufficio, nel senso che si procede contro l’accusato a prescindere dalla volontà di chi vittima del medesimo.
Invece nei casi a querela occorre una specifica manifestazione di volontà, tramite la quale il soggetto leso deve comunicare l’intenzione che il colpevole, o i colpevoli, se più d’uno, vengano perseguiti.
Esposizione alla pubblica fede
In alcuni casi il furto si accompagna a circostanze che il codice considera aggravanti.
Tra tali ipotesi la cosiddetta esposizione alla pubblica fede, che si verifica quando il furto ricade su beni che non sono rinchiusi in un luogo specifico, ma lasciati alla mercé di un numero indefinito di persone, come un’auto.
Certo, la vettura sarà probabilmente chiusa, ma questo non esclude l’esposizione, in quanto un numero indeterminato di persone potrebbe tentare di rubarla sulla pubblica via.
Anche le merci esposte in un supermercato vengono, solitamente, considerate esposte alla pubblica fede. Proprio perché, pur trovandosi in un luogo specifico, un numero indefinito di persone potrebbero impossessarsene, tentando poi un furto, non pagandole all’uscita.
Insomma, il legislatore ha voluto considerare aggravante la circostanza che determinati beni, già in fase di commercializzazione, non devono essere consegnati, perché una persona se ne impossessi.
Definita tale circostanza aggravante, è possibile che un furto in un supermercato segua la seguente dinamica.
Una persona si impossessa di una merce esposta, e poi tenta di uscire non pagandola.
Ma un sorvegliante la scopre, eventualmente tramite ausilio di telecamere, e vengono chiamati la polizia o i carabinieri.
La persona autrice del furto viene quindi tradotta nella stazione delle forze dell’ordine e quindi giunge il sorvegliante proprio per sporgere denuncia.
In un caso come questo, secondo voi, come va a finire la vicenda?
Ve lo dico subito io, spiegandovi poi il perché.
Il caso verrà archiviato.
La giurisprudenza sulle merci esposte alla pubblica fede
Qualcuno probabilmente si stupirà di un tale esito, eppure è quello che solitamente capita in questi casi.
Per comprenderne le motivazioni, dobbiamo considerare un orientamento giurisprudenziale in materia. Secondo tale orientamento, non si devono considerare merci esposte alla pubblica fede quelle di un centro commerciale che utilizzi particolari sistemi di sorveglianza, come guardie giurate o telecamere.
Infatti, in questi casi la maggior facilità nel compiere il furto viene meno, secondo la giurisprudenza, perché all’esposizione della merce alla pubblica fede fa da contraltare il sistema di sorveglianza.
Non si tratta cioè più di merce esposta alla pubblica fede, perché sulla stessa è attivo appunto un sistema di sorveglianza.
Ne consegue la derubricazione della fattispecie da furto aggravato a furto semplice, da cui la perseguibilità solo a querela.
I limitati poteri della guardia giurata
A proposito di furto aggravato da esposizione alla pubblica fede, occorre inoltre considerare che, in casi come questo, negli uffici della polizia o dei carabinieri si reca solitamente solo la guardia giurata o comunque il sorvegliante, che sporge denuncia.
Ma abbiamo detto che non si procede senza querela in casi come questo.
Ora, quell’atto sporto dalla guardia giurata, o sorvegliante che sia, non può considerarsi una querela, per almeno due fondamentali motivi.
Intanto perché il guardiano non è personalmente vittima del reato, che semmai è il centro commerciale che ha subito il furto.
E solo alla vittima spetta il potere di querelare.
Solitamente questi centri commerciali sono organizzati in forma di società, e sarà quindi lo statuto sociale o altro atto giuridico a precisare chi abbia la rappresentanza della società, compresa quella necessaria a manifestare la volontà di procedere contro il ladro.
Un potere certo solitamente non conferito ad un semplice sorvegliante, ma in questo caso abbiamo visto che l’unico atto presentato è da parte sua.
Inoltre non è sufficiente una semplice esposizione di quanto verificatosi, senza manifestazione della volontà di procedere da parte di soggetto che abbia tale potere.
Nel caso di specie, evidentemente al supermercato non hanno pensato a tutti questi cavilli legali. E anche se l’intenzione fosse stata realmente quella di procedere penalmente, certo non hanno seguito la giusta procedura.
Entro tre mesi dal fatto, la denuncia da parte del sorvegliante avrebbe dovuto essere seguita da un apposito atto di querela, presentato da soggetto abilitato ai sensi delle norme interne alla società che gestiva il supermercato, in primis in base ai principi statutari.
Evidentemente, o non lo sapevano o non era per loro così importante, da perdere ulteriore tempo in ulteriori adempimenti legali.
A cura di Gian Piero Turletti, autore di “Magic Box” e “PLT“