È noto come alla stipula del contratto di lavoro sorgano una serie di obblighi e di diritti sia in capo al datore di lavoro che al lavoratore. Gli obblighi principali del datore di lavoro sono quello di pagare lo stipendio del dipendente e assicurargli lo svolgimento dell’attività lavorativa in sicurezza. Mentre l’obbligo principale del lavoratore consiste nel garantire l’adempimento del proprio lavoro. Per legge spettano al lavoratore una serie di diritti irrinunciabili. Uno di questi sono, ad esempio, le ferie. Un altro diritto molto importante consiste nel ricevere la retribuzione anche in caso di malattia.
Dunque, il lavoratore continua a percepire lo stipendio quando per malattia non può svolgere la propria attività. È chiaro che questo sia un diritto estremamente importante che, però, può prestarsi ad abusi da parte del lavoratore. Proprio a tal fine la legge prevede le visite fiscali. Queste consistono in visite mediche di controllo predisposte dall’INPS e dal datore di lavoro nei confronti del lavoratore malato. Servono in sostanza ad accertare che lo stato di malattia del dipendente sia reale.
I doveri del dipendente
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Per le visite fiscali esistono delle fasce di reperibilità in cui il lavoratore deve necessariamente trovarsi al proprio domicilio. In caso contrario ci sono una serie di sanzioni progressive per il dipendente che viola l’obbligo di presenza. Non esistono limiti di legge alle visite fiscali che il datore di lavoro può richiedere all’INPS di effettuare. Anzi dalla riforma Madia sia per i dipendenti pubblici che per quelli privati esiste una norma che permette di ripetere la visita fiscale più volte nello stesso giorno.
Questa facoltà del datore di lavoro può prestarsi, però, ad abusi. Potrebbe essere un ottimo strumento di mobbing nei confronti del dipendente. Fino a 6 anni e 6 mesi di reclusione per il datore di lavoro che perseguita il proprio dipendente tramite mobbing. Infatti, secondo la Corte di Cassazione, sentenza 12827 del 2022, la condotta di mobbing può integrare il reato di atti persecutori (o stalking). Il reato si configura quando comportamenti persecutori reiterati del datore di lavoro creino nel dipendente uno stato di ansia e paura.
Fino a 6 anni e 6 mesi di reclusione per il datore di lavoro che si comporta in questo modo scorretto nei confronti del lavoratore
Ci si chiede, allora, se l’abuso delle visite fiscali da parte del datore di lavoro possa integrare mobbing e portare addirittura al reato. La giurisprudenza ha dato risposte contrastanti. Infatti, la Cassazione ha spiegato che dipende dall’esistenza o meno dell’intento persecutorio che, però, va provato. Non basta, cioè, che il lavoratore faccia riferimento ad una molteplicità di visite fiscali disposte nei suoi confronti. Deve, invece, provare che rientrano in un disegno persecutorio. Come spiegato dalla Cassazione con la sentenza 475 del 1999.
Normalmente, invece, l’INPS e il datore di lavoro hanno una grande discrezionalità nel decidere il numero, la frequenza e gli orari delle visite fiscali per il dipendente. Sul punto si è pronunciata anche la Cassazione, sentenza 22721 del 2015. I giudici hanno spiegato che questa grande discrezionalità impedisce di considerare la frequenza e gli orari delle visite fiscali di per sé atti persecutori. Solo, dunque, all’interno di un disegno di mobbing più esteso e debitamente provato, la reiterazione delle viste fiscali potrebbe concorrere al reato di atti persecutori.
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