L’ambiente di lavoro è una questione davvero importante. Potremmo definire l’ambiente di lavoro come l’insieme delle condizioni che si presentano sul posto di lavoro. Queste, in senso ampio, attengono sia all’attività materiale del dipendente, quindi ufficio adeguato, eventuale presenza di gas o polveri, presenza di rumore e così via. Sia pure al rapporto umano che si instaura con datore di lavoro e gli altri dipendenti.
Abbiamo visto come, negli ultimi anni, la giurisprudenza sia piuttosto attenta ai comportamenti che il datore di lavoro tiene nei confronti dei propri dipendenti. Di recente abbiamo visto se sia legittimo o meno, per il datore di lavoro, disporre più visite fiscali nei confronti del dipendente. Anche più volte nello stesso giorno e frequentemente nel periodo di malattia. Abbiamo visto, in particolare, se questa attività possa configurare il reato di mobbing e portare alla reclusione fino a 6 anni e 6 mesi per il responsabile.
L’ambiente di lavoro
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Ad ogni modo, ambiente di lavoro e comportamenti del datore di lavoro possono incidere sulla salute psicofisica del dipendente. Questo è un fatto che la legge prende molto seriamente. Tanto che il codice penale prevede fino a 10 anni di reclusione e a 4.000 euro di sanzione per il datore di lavoro che tenga dei comportamenti dispotici e prepotenti verso il dipendente.
Il caso esaminato dalla Cassazione, con la sentenza 37248/2022, riguardava due lavoratori. Questi lavoravano sempre oltre l’orario contrattuale, senza pause e svolgendo attività fuori dalle loro mansioni. Oltretutto, non venivano pagati per le diverse mansioni svolte o per l’attività straordinaria.
Fino a 10 anni di reclusione e 4.000 euro di multa per il datore di lavoro dispotico e prepotente che tiene questo comportamento nei confronti del dipendente
Il datore di lavoro permetteva ai dipendenti di scegliere se proseguire il lavoro a queste condizioni inique oppure semplicemente abbandonarlo. Per questo la Corte d’Appello riteneva che non fosse configurabile la minaccia, proprio perché i dipendenti potevano decidere di non sottostare alle condizioni ingiuste licenziandosi. La Corte di Cassazione ha, però, deciso in senso opposto. Ha ritenuto il datore di lavoro, che tenga questo comportamento, responsabile del reato di estorsione articolo 629 codice penale.
La Cassazione spiega che per aversi minaccia bisogna che sia proprio la vittima a scegliere quale soluzione adottare nel caso specifico. Se, però, la vittima tenga un comportamento diverso da quello scelto dalla persona che la minaccia, ecco allora che si concretizza il male ingiusto. In particolare, il capo minacciava i propri dipendenti proprio statuendo che ove non volessero sottostare alle condizioni di lavoro inique potevano semplicemente dimettersi. Questo comportamento per la Cassazione configura il reato di estorsione.
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