Nella guerra sotterranea che si combatte senz’armi e riguarda la prossima crisi alimentare, l’Unione cerca di capire il da farsi. Il Comitato europeo delle Regioni affronta il problema e presenta quello che può essere un possibile percorso d’aiuto contro il rischio carestia. Che in realtà, se lo scenario internazionale persiste, è quasi una certezza. E sarebbe solo questione di tempo. Anche se l’Italia e molti Paesi d’Europa non rischierebbero una carenza di derrate alimentari, non siamo esenti da danni. Che si traducono in emigrazione e inflazione alle stelle. L’intelligence già ce lo segnala e Draghi si sta allertando.
La proposta europea
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Tra gli attori al tavolo, in gran parte ritengono che filiera corta e delocalizzazione della produzione locale possano contrastare il fenomeno. È quanto emerge dalla riunione della Commissione NAT a Santiago de Compostela. Si tratta della Commissione per le risorse naturali che si compone di oltre 100 membri tra sindaci, consiglieri e Presidenti di Regione. L’attuale mandato si concentra soprattutto sulla salute pubblica e sull’agenda rurale. Le informazioni che estrapoliamo le comunica direttamente il Comitato Europeo delle Regioni.
Filiera corta e delocalizzazione della produzione, il suggerimento UE per la crisi alimentare globale
La criticità potrebbe essere rappresentata da talune avversità climatiche che in aree fortemente sottosviluppate non si riescono a sanare. Un problema su tutti è la siccità che sta mettendo in ginocchio molta parte dell’India e dell’Africa. Infatti il relatore della Commissione NAT Christophe Clergeau, membro del Consiglio regionale dei Paesi della Loira, si rammarica. E cioè prende atto del fatto che la Commissione europea «sottovaluti la vulnerabilità delle filiere alimentari soggette a rischi climatici, instabilità geopolitiche e crisi sanitarie».
Infatti, proprio dai Paesi della Loira arriva uno dei suggerimenti più interessanti. Una riforma della politica comune europea (PAC) che si orienti alla delocalizzazione. Ma anche alla riduzione dell’impatto ambientale. Che certamente è un bel dire, abbastanza difficile da applicare perché implica innovazione in agricoltura. E forse questo non è proprio il momento ideale perché nel frattempo molta della popolazione mondiale inizia a soffrire la mancanza di materie prime alimentari.
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