Fare impresa con il marchio coronavirus

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Non ci crederete, ma il coronavirus rischia addirittura di diventare un brand! E per i più sospettosi, già sul piede di guerra inneggianti al grido della “Fake News”, niente di più certo di una banca dati. Infatti basta andare sul sito dell’UIBM, ovvero dell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, e sincerarsi di persona di quanto sta accadendo negli ultimi mesi. Ad inizio pandemia c’è stato infatti più di uno che ha pensato d’investire in un marchio che contenesse al suo interno la parola coronavirus. Ma vediamo più nel dettaglio com’è possibile fare impresa con il marchio coronavirus.

Perchè registrare un marchio

Innanzi tutto è bene sapere che gli imprenditori più attenti al marketing e al brand, investono nella tutela dei propri caratteri distintivi. E il marchio rientra nella rosa degli elementi da tutelare. Questo infatti si tradurrà in un duplice vantaggio per l’imprenditore. In primis: maggiore forza sul mercato e un conseguente accantonamento in termini di proprietà immateriale. Il marchio infatti non è un bene immobile, ma rientra nel patrimonio aziendale, ha potenzialmente vita illimitata, e può essere oggetto di cessione a titolo oneroso. Basti pensare a tutti gli interessi che ruotano attorno alle vendite di marchi storici.

Quali i requisiti per una valida registrazione di marchio

Superato lo sconcerto iniziale del marchio coronavirus e affini, verifichiamo ora quali sono i requisiti per una valida registrazione di marchio d’impresa. Novità, capacità distintiva e liceità sono le condizioni imprescindibili affinché il marchio passi il vaglio delle autorità preposte al controllo. Chissà quindi cosa l’UIBM deciderà di fare con i marchi coronavirus ancora allo stato di deposito? E’solo a registrazione avvenuta che sarà possibile apporre accanto al marchio il simbolo della ® equivalente a “registrato”.

Fare impresa con il marchio coronavirus. Quale operazione di marketing

Lasciando questi tecnicismi giuridici agli addetti al settore, passiamo a valutare un altro aspetto di non trascurabile importanza. Le citate domande di marchio sono state richieste per specifiche classi di prodotti e servizi. Si va infatti dai servizi informatici e giuridici alla progettazione, dalle telecomunicazioni ai servizi scientifici.

Ma, e qui sta forse la nota più strabiliante, il marchio coronavirus è stato chiesto anche per contraddistinguere articoli di abbigliamento e calzature. E, udite udite, anche per alimenti, pasticceria, bevande, ristorazione e alloggi. Con il rischio piuttosto scontato per il consumatore di associare il marchio coronavirus a patologia. Comunque il mondo è bello perché è vario. In attesa di conoscere gli sviluppi da parte dell’UIBM, una domanda ora nasce spontanea. Chissà se ci saranno dei temerari disposti a pasteggiare con un vinello coronavirus o ad inguainarsi in biancheria griffata Covid19 e affini?

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