In un recente articolo, la Redazione di ProiezionidiBorsa aveva analizzato quanto previsto dalla Legge 488/1998 per il periodo 2019/2021. La norma intende istituire una rivalutazione sistematica delle pensioni per adeguarle all’inflazione. In altre parole, il Governo intende tutelare i redditi più bassi dall’aumento del costo della vita. Al contempo, l’Esecutivo chiederebbe un sacrificio a chi percepisce una pensione annua lorda superiore a 100.000 euro. I possibili aumenti sarebbero, comunque, molto contenuti. Una pensione di 15.000 euro annui beneficerebbe di un aumento medio di 5 euro mensili. Insomma, una manovra atta a salvaguardare il potere d’acquisto dei redditi più contenuti che ha però incontrato diverse resistenze. Alcuni tribunali hanno, infatti, sollevato possibili questioni di legittimità e rinviato alla Corte costituzionale una valutazione approfondita. La risposta dei giudici è arrivata proprio in questi giorni: falciata dalla Consulta una parte dell’aumento previsto per queste pensioni.
Un ridimensionamento della manovra
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La Corte costituzionale ha accolto alcune delle questioni di legittimità sollevate dal tribunale di Milano e da sezioni locali della Corte dei conti. Secondo la Consulta, l’impianto normativo è confermabile per un periodo non superiore a 3 anni, invece dei 5 previsti dalla normativa. La sentenza non è ancora disponibile, ma l’ufficio stampa della Consulta ha emanato un apposito comunicato. Nello specifico, la Corte ha ritenuto legittimo un “raffreddamento della perequazione” ossia una riduzione del periodo di rivalutazione. Insomma, i pensionati con redditi superiori a 100.000 euro dovranno contribuire solo per 3 anni ai redditi INPS più contenuti. Quindi, è falciata dalla Consulta una parte dell’aumento previsto per queste pensioni. Sulla base di questo orientamento, il contributo rimarrà operativo per quest’anno ed il prossimo. Non si estenderà, però, fino a tutto il 2023 come originariamente previsto.
Falciata della Consulta una parte dell’aumento previsto per queste pensioni
Ancora per poco più di un anno, l’INPS ridurrà le pensioni superiori a 100.000 euro, sulla base di specifiche aliquote. Le trattenute sono pari al 15% della somma eccedente i 100.000 euro. Salgono al 25% per la quota al di sopra di 130.000 euro. Arrivano al 30% per la parte di reddito che supera i 200.000 euro e al 35% al di sopra dei 350.000. L’aliquota massima del 40% interviene sugli importi che eccedono il mezzo milione di euro. Le pensioni colpite sono comunque molto poche. A fronte di aliquote che arrivano al 40%, l’Ufficio bilancio del Senato stima un gettito inferiore a 90 milioni di euro. Un contributo che rimarrà valido fino alla fine del 2021 con un contestuale aumento dei redditi più bassi. Dobbiamo invece considerare falciata dalla Consulta una parte dell’aumento previsto per queste pensioni dal 2022 in avanti.