La crescente crisi economica scaturita ai primi dell’anno per effetto della pandemia da Covid potrebbe sovvertire trend inattesi nel mondo del lavoro. Un primo punto di partenza è dato dagli allarmanti dati dell’Istat. Secondo le sue recenti stime, si attendono 3,6 milioni di disoccupati in più entro la fine di quest’anno. Proprio partendo da queste considerazioni, la CGIA di Mestre non esclude che una parte di questi confluirà nel c.d. lavoro in nero. Dunque, ecco un possibile trend in salita secondo la CGIA di Mestre che andrebbe monitorato e a cui offrire valide soluzioni alternative.
Il PIL in picchiata
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Per il 2020 si attende un saldo negativo del Prodotto Interno Lordo intorno al 10%, punto in più, punto in meno. Vale a dire tra i 160 e i 190 miliardi di ricchezza nazionale in meno, per cui inevitabilmente il mercato del lavoro cambierà. Oggi, infatti, i saldi degli occupati vengono tenuti artificialmente in piedi grazie al blocco dei licenziamenti. Nel frattempo, la CIG sostiene i percettori di reddito da lavoro. Ma quando queste due misure verranno meno, è il pensiero dell’associazione veneta, la quota dei senza lavoro aumenterà di conseguenza.
Esiste, al riguardo, un precedente storico molto recente. Nell’ultima crisi, quella post-Lehman, la caduta del PIL fu “solo” del 5,5%, generando un raddoppio dei senza lavoro in 2 anni: dal 6 al 12%. Quindi, se la storia dovesse ripetersi, non ci sarebbe molto di cui stare allegri.
Il mondo del sommerso oggi in Italia
Non è un mistero che nel nostro Paese esista anche un’economia sommersa e parallela che crea ricchezza. Certo, la crea al di fuori dei confini di legge, ma evadendo le norme in materia fiscale, di tutele e sicurezza sul posto di lavoro. I numeri più grossi, manco a dirlo, si concentrano al Sud, dove risiede il 38% di quei 3,3 milioni di occupati in nero. Mentre l’area meno coinvolta è quella del Nordest.
Ecco un possibile trend in salita secondo la CGIA di Mestre
La madre di tutte le domande è sempre la stessa: come se ne esce? La risposta non è semplice, e in buona parte esula anche dalla nostra portata. Sicuramente attiene più alla sfera della politica e dell’economia.
Ma, tra le tante, un’ipotesi si potrebbe comunque avanzare un’ipotesi. Ad esempio, si potrebbe fornire sostegno diretto alle aziende affinché creino corsi di formazione per coloro che abbiano perso il lavoro. Si pensi alle piccole imprese artigianali o alle PMI della meccanica di precisione. Si tratta di aziende quasi sempre alle prese con una carenza cronica di personale e con forte difficoltà a reperirlo sul mercato del lavoro. Perché non fornire loro mezzi adeguati affinché possano cercare la manodopera di cui hanno bisogno e allo stesso tempo anche formarla? Si ridurrebbero i tempi del reinserimento. Si avrebbe, inoltre, il vantaggio di far incontrare immediatamente domanda e offerta e capire in breve tempo se reciprocamente compatibili.
È solo una semplice proposta di discussione, alla quale mille altre se ne potrebbero aggiungere. Ciò che più conta, attualmente, è soprattutto trovare gli antidoti giusti al contenimento dei problemi sul fronte occupazionale.
Se, invece, intendete approfondire il trend dei fallimenti nella sfera degli imprenditori autonomi, vi invitiamo a leggere il seguente articolo.