Al ritorno dalle ferie i mercati obbligazionari si ripresentano surriscaldati così come li avevamo lasciati qualche settimana fa. Sebbene l’inflazione sia calata rispetto ai picchi del passato, resta comunque sostenuta. Un dramma per famiglie, imprese e Istituzioni che cercano, ognuno per la propria parte, di fronteggiarla.
Il tema coinvolge giocoforza anche i mercati, che cercano di prevedere (e quindi di scontare) i possibili scenari sul mercato dei tassi. Saliranno ancora? O resteranno alti per un tempo maggiore di quanto inizialmente ipotizzato? Peggio ancora, si verificheranno entrambi gli scenari?
L’inflazione si mangia il potere d’acquisto dei soldi liquidi
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L’inflazione è un guaio quando non c’è perché rivela che l’economia è stagnante. Parimenti è disastrosa quando è a livelli monstre come quelli attuali. Essa agisce sul potere d’acquisto della moneta, riducendolo per colpa del generale rialzo dei prezzi. È come se un vermicello si mangiasse pezzettini di carta per cui la nostra banconota da 10 €, per esempio, varrebbe progressivamente 9,50 €, 9 €, 8,50 € e così via. Cioè rende più poveri e innesca quel fenomeno perverso del generale rialzo dei prezzi.
In pratica succede quello che stiamo vivendo in questi mesi, dove frutta, verdura, carburante, mutui, vacanze, etc, costa molto di più che in passato.
Salgono alle stelle i rendimenti sul reddito fisso
Le Autorità monetarie cercano di contenerla attraverso politiche monetarie restrittive, in primis il rialzo dei tassi. Rendendo più costoso il denaro (pensiamo alle rate dei mutui casa, oggi più care) si cerca di raffreddare l’economia. Cioè di far calare la domanda aggregata e per tale via di indurre le imprese a non alzare i prezzi.
Al momento tutto si è verificato, tranne che un crollo della domanda. Questi processi richiedono tempo, e poi si viene da anni e anni di politiche monetarie ultraespansive. Infine va detto che da un lato (le Autorità monetarie) si drena liquidità dal sistema, dall’altro (i Governi, per non perdere voti) si pompano soldi nel sistema. Sembra il gioco dell’oca!
Nel frattempo i mercati finanziari annusano i rischi di possibili, ulteriori rialzi dei tassi e quindi adeguano i rendimenti. Ossia vendono bond sul mercato, il cui prezzo scende facendo salire il ritorno finale.
Ecco 2 titoli di Stato buoni per portare a casa una rendita del 4% nei prossimi 8 o 10 anni
Vediamo ora due BTP con durate residue e rendimenti non molto distanti tra di loro.
Il titolo con scadenza 30 ottobre 2031 (8,2 anni residui) ha codice ISIN IT0005542359 e cedola lorda al 4%. Ieri il titolo ha chiuso le contrattazioni a 99,07 centesimi, per cui attualmente prezza, sia pur di poco, sotto il prezzo di emissione (e di rimborso finale). A questi valori il rendimento effettivo netto annuo sarebbe del 3,649%.
Il BTP con ISIN IT0005518128 scade invece il 1° maggio 2033, cioè 18 mesi dopo il bond precedente (annui residui: 9,7). In compenso la cedola lorda è più robusta e pari al 4,40%, mentre ieri ha chiuso gli scambi al prezzo di 100,85 centesimi (credito d’imposta di 0,11%). In sostanza il rendimento effettivo netto annuo è del 3,785%.
La cedola certa e la speranza di un capital gain
Ecco 2 titoli di Stato buoni per ottenere una rendita del 4%. Al netto dei distinguo, quindi, si tratta di due prodotti di lungo termine con un prezzo di acquisto quasi alla pari e buone cedole annue. Quest’ultime presentano almeno un vantaggio certo più una buona speranza.
Il vantaggio certo è dato dalla cedola annua fino a scadenza. Essa non è stellare ma neanche da scartare, e comunque è superiore all’obiettivo di inflazione di lungo termine della BCE (2%).
La speranza, invece, risiede nella ripresa dei corsi non appena inizierà la stagione dei tagli dei tassi. Questa decisione dovrebbe dare il via agli acquisti convinti da parte degli operatori, per cui i prezzi salirebbero e i rendimenti scenderebbero. È ovvio che un’eventuale vendita anticipata dei bond a seguito di un apprezzamento dei loro corsi farebbe perdere il diritto all’incasso delle cedole residue. Tuttavia, porterebbe a una plusvalenza, al rientro anticipato del capitale e all’opportunità di reinvestire il capitale in una nuova avventura sui mercati.