Secondo le ultime notizie alcune case farmacologiche avrebbero intenzione di chiedere agli enti competenti l’autorizzazione per la somministrazione di una terza dose. Le agenzie del farmaco americane ed europee sembrano però riluttanti a concedere tali permessi alle compagnie. Rimane, quindi, una domanda: dovremo fare a breve una terza dose di vaccino contro le varianti del Covid 19? Cerchiamo di fare chiarezza su cosa sappiamo fino ad ora.
Il calo dell’efficacia del Pfizer e la necessità di una terza dose
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Secondo le ultime novità, le compagnie Pfizer e BioNTech avrebbero intenzione di chiedere agli enti competenti l’autorizzare per produrre una terza dose di vaccino. Stando a quanto riportato dalle compagnie, tale dose aiuterebbe i soggetti a mantenere elevati livelli di anticorpi capaci di contrastare le varianti del Covid 19.
Le compagnie starebbero inoltre lavorando ad una variante del proprio vaccino, studiata per contrastare la ormai diffusa variante Delta. L’EMA (Agenzia Europea dei Medicinali) ha però frenato per ora su una possibile terza dose di richiamo del vaccino. L’agenzia, infatti, ha sottolineato come non vi siano ancora dati sufficienti per capire quanto duri la protezione data dai vaccini.
Dovremo fare a breve una terza dose di vaccino contro le varianti del Covid 19?
Quindi, quali sono le ragioni per cui potremmo ritrovarci a dover fare una terza dose di vaccino? Le principali cause potrebbero essere due.
Da una parte, l’emergere di una nuova variante particolarmente contagiosa e capace di far ammalare gravemente anche i soggetti vaccinati. Dall’altra, un deperimento della memoria immunologica dei soggetti vaccinati capace di esporre gli stessi al rischio di essere nuovamente infettati.
A partire da queste due motivazioni, al momento, non sembrano esserci quindi gli estremi per una terza dose. Infatti, un ciclo di due dosi di Pfizer sembrerebbe capace di proteggere da formi gravi del Covi 19 con tassi superiori al 90% circa. Inoltre, questo vaccino è capace di offrire protezione dalla variante Delta per un tasso superiore all’85% circa.
Infine, non sussistono ancora dati empirici bastanti a quantificare la finestra temporale in cui il vaccino protegge efficacemente dal virus.
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