Tutti noi, oltre ad essere cittadini, siamo anche contribuenti e soggetti attivi o passivi del sistema fiscale. Alle volte questo aspetto comporta dei notevoli vantaggi. Basti pensare a quando possiamo usufruire delle detrazioni e delle deduzioni. Altre, rappresenta un dovere e significa dover adottare alcuni comportamenti necessari.
Un esempio molto concreto è l’obbligo di conservazione di documenti. Teoricamente potrebbero infatti sorgere in qualsiasi momento delle contese o dei dubbi di carattere fiscale. A quel punto dovremo essere in grado di produrre idonea documentazione. Specie quando agiamo in qualità di titolari di partita IVA, oppure quando dobbiamo rappresentare atti di natura contabile per le attività imprenditoriali o autonome. Lo stesso avviene ovviamente per le persone giuridiche.
Oppure per le buste paga, che dobbiamo conservare un numero di anni specifico per non avere problemi con affitti, mutui e datori di lavoro. Invece, il tradizionale periodo di conservazione dei documenti fiscali è di 10 anni. Recentemente una sentenza pronunciata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ha portato a riconsiderare il termine. Così dovremo conservare questi documenti fiscali più a lungo.
I giudici hanno considerato la veridicità di un dato di bilancio
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Il riferimento della sentenza è alla documentazione riguardante i cosiddetti componenti di reddito ad efficacia pluriannuale. L’accertamento della veridicità di una componente pluriannuale di un bilancio, in sintesi, non ha valore sostanziale. Ben potrebbe, infatti, il dichiarante, non far corrispondere il dato riferito ad un’annualità ad un fatto concreto. Il reale accertamento della veridicità di una quota di ammortamento, anche risalente nel tempo, è l’unico metodo certo a disposizione dell’autorità competente. Questo vale a prescindere che siano già decorsi i termini indicati per la conservazione dei relativi documenti aventi valore fiscale.
I limiti dell’obbligo di conservazione dei documenti sono limitati all’art. 2220 del Codice civile e dall’art. 8 della legge 212/2000. Prevedono un limite temporale di 10 anni per la documentazione pluriannuale. Ma, in caso di ammortamento di attività di durata maggiore ai dieci anni, l’amministrazione può accertare in qualsiasi momento la veridicità delle scritture contabili.
Dovremo conservare questi documenti fiscali più a lungo secondo la Cassazione
Questo significa concretamente che i cittadini e le imprese che abbiano scritture contabili relative ad ammortamenti tanto lunghi dovranno conservare le relative scritture. Non per un termine infinito, ovviamente, ma fino a che non termini l’ultimo giorno valevole per la rettifica relativa all’ultima rata pagata o ricevuta.
In sintesi, dunque, se l’acquisto di un bene durevole comporta effetti nell’attivo o nel passivo patrimoniale del reddito di una persona fisica o giuridica per più di dieci anni, saremo tenuti alla conservazione di tutte le relative scritture contabili. Questo aspetto potrebbe valere anche per i titolari di partita IVA, i quali spesso ammortano elementi dichiarandoli in maniera pluriannuale.
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