Il 28 marzo è stato in tutto il Mondo il giorno dedicato a una malattia che riguarda le donne e che sta ponendo numerosi quesiti. Un giorno speciale per cercare di sensibilizzare persone e Istituzioni sanitarie su un tema delicato, una patologia invalidante la cui diagnosi richiede ancora troppo tempo. Si tratta dell’endometriosi, per cui il Ministero della Salute ha autorizzato una spesa di 3 milioni di euro fino al 2023 come aiuto alla ricerca. Migliorare gli studi su incidenza e meccanismi attraverso cui la malattia si sviluppa è l’obiettivo principale. In Italia questa patologia riguarda 3 milioni di donne, mentre nel Mondo sono 190 milioni quelle che ne soffrono. L’endometriosi è una malattia inserita nei LEA, cioè tra le patologie croniche invalidanti che prevedono l’esenzione di numerose visite specialistiche con cui arrivare a diagnosi certe, veloci e corrette.
Difficoltà e percorsi
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L’endometriosi è una patologia benigna che riguarda le cellule della cavità uterina. Lo stato infiammatorio cronico potrebbe provocare dolori pelvici, bruciori e sanguinamenti e portare problemi di infertilità. I percorsi terapeutici personalizzati sono necessari perché la malattia presenta diversi stadi e in ogni persona le evoluzioni sono differenti e anche le reazioni ai trattamenti. Ha risvolti psicologici perché le donne vengono colpite spesso in età fertile, mettendo in discussione la possibilità di diventare madri. I dolori potrebbero impedire di vivere la quotidianità e di lavorare come si fa di solito. I medici coinvolti, soprattutto nella fase diagnostica, hanno specializzazioni diversificate e per riconoscere la malattia e curarla al meglio serve coordinazione.
Dolori pelvici, bruciori e sanguinamenti potrebbero rivelare questa malattia invalidante per le donne che sta ponendo quesiti su cosa fare e come comportarsi
Secondo l’OMS è necessario che gli operatori sanitari schierati in prima linea e gli stessi pazienti siano consapevoli. Il dolore pelvico, che la patologia porta, altera i normali equilibri della vita di tutti i giorni. La tendenza a normalizzare sintomi e interventi può creare seri pericoli a causa dei ritardi che si creano durante la fase diagnostica, che a sua volta ritarda l’accesso ai trattamenti. In molti Paesi anche l’accesso alla chirurgia non è ottimale. Penalizzare la diagnosi precoce significa non garantire un trattamento efficace. Gli investimenti dovrebbero essere mirati a effettuare screening tempestivi, diagnosi non invasive e previsioni accurate. Mentre le campagne di informazione dovrebbero servire a educare la comunità sui sintomi di cui occorre preoccuparsi. Una consapevolezza lacunosa ha portato finora un ritardo diagnostico che si aggira sui 7 anni.
Secondo l’OMS occorre cambiare questo dato il prima possibile. I trattamenti con l’ormone progestinico stanno ottenendo buoni risultati nel limitare lo sviluppo della malattia. Si usano i farmaci più invalidanti in caso di intervento chirurgico quando c’è il blocco della stimolazione delle ovaie. Accelerare l’azione globale è fondamentale e anche una giornata speciale dedicata a questa patologia può essere estremamente importante.