Diritto al silenzio quale corollario del diritto di difesa. La Corte di Giustizia UE pone un limite ai poteri sanzionatori delle Authority

diritto al silenzio

La normativa europea in materia di abusi di mercato impone agli Stati membri la determinazione di sanzioni applicabili da parte delle Authority competenti, in caso di omessa collaborazione da parte di persone informate sui fatti oggetto del procedimento.

Tali disposizioni normative, tuttavia, includono la locuzione “conformemente al diritto interno”, che lascerebbe intendere che la normativa interna si possa discostare da quella sovraordinata.

Diritto al silenzio quale corollario del diritto di difesa

Di conseguenza, il quadro normativo europeo pone una serie di problemi: 1) La compatibilità dello stesso con il diritto interno agli Stati membri 2) Il contrasto con l’art. 6 par. II della CEDU, che riconosce all’imputato nel processo penale il diritto ad un “equo processo” e con gli art. 47 e 48 della Carta di Nizza, sul diritto ad un ricorso legittimo, sul diritto di difesa e sulla presunzione di innocenza dell’imputato sino a quando la sua colpevolezza non sia legittimamente provata. 3) La compatibilità, sul piano del diritto interno, con l’art. 27 Cost, comma 2, secondo la cui lettera l’imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva. Sulle questioni, si è rivelata necessaria un’analisi da parte dei Giudici di Lussemburgo, in relazione al profilo della tutela del diritto al silenzio e della necessaria armonizzazione della normativa europea ed interna.

L’occasione si è presentata quando un soggetto, incolpato per “insider trading” si era rifiutato di rispondere alle domande poste dalla Consob in sede di audizione, dalle cui risposte si sarebbe certamente desunta la sua responsabilità, con irrogazione di una sanzione di circa 50 mila euro di multa.

La Corte di Cassazione, a seguito di ricorso, aveva sollevato una questione di costituzionalità. A sua volta la Corte Costituzionale, con ord. 117/2019, ha sottoposto, in via pregiudiziale, la questione alla Corte Di Giustizia UE, formulando due quesiti: Se il regolamento 596/14 deve essere considerato vincolante in ordine alla previsione di una sanzione del silenzio dell’incolpato, a fronte della richiesta della CONSOB; in particolare, se l’art. 30, paragrafo 1) lett. B del predetto regolamento, relativo agli abusi di mercato e la Direttiva 2003/6/CE, sull’abuso di informazioni privilegiate, siano conformi alle disposizioni di cui agli art. 47 e 48 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, ovvero con il diritto di difesa.

La risposta dei Giudici di Lussemburgo

La risposta dei Giudici di Lussemburgo annette principale rilevanza al diritto di difesa, garantito dall’art. 47 (“diritto ad un ricorso effettivo e ad un giudice imparziale) e 48 (Presunzione di innocenza) della Carta di Nizza, rispetto alle altre fonti del diritto europeo, di rango secondario rispetto alla prima.

Ne consegue che gli Stati membri, in seno alla loro discrezionalità, devono comunque conformarsi ai diritti fondamentali, negando all’Autorità competente il potere di punire una persona fisica sottoposta ad un procedimento penale, quando questa si rifiuta di fornire risposte, da cui potrebbe emergere la sua responsabilità.

Alla luce dell’interpretazione resa dalla Corte di Giustizia UE, il diritto al silenzio preclude la possibilità che la CONSOB sanzioni l’indagato o l’incolpato che si rifiuti di rispondere.

Sul piano del diritto interno, quindi, è opportuno che la Corte Costituzionale si pronunci nel senso dell’incostituzionalità degli art. 187 octies, comma III del TUF e 187 quinquies, che puniscono chiunque non ottemperi alla richiesta di informazioni o non cooperi con le Autorità nell’esperimento dei poteri di vigilanza.

Le norme del TUF, infatti, impongono all’indagato di comunicare all’Autorità proprio quelle informazioni che potrebbero far ricadere su di lui una sanzione interdittiva o economica, talvolta rilevante. Il tutto, in spregio dell’art. 24 Cost., sul diritto di difesa, che, sotto il profilo strettamente penalistico, si traduce nel noto brocardo latino “Nemo tenetur se deteger”, ovvero “nessuno è tenuto a rendere dichiarazioni contro se stesso”.

L’operatività delle sanzioni penali per mancata collaborazione con la CONSOB

Da ultimo, dubbi di costituzionalità pone  anche l’art. 187 quinquesdecies della Legge Draghi, nella parte in cui non esclude l’operatività delle sanzioni penali per mancata collaborazione con la CONSOB, nei confronti del soggetto indagato o incolpato, o comunque informato sui fatti, allorchè possa evincersi la sua responsabilità penale.

Dirimente, al riguardo, è la disposizione dell’art. 27 Cost, secondo la quale: “La responsabilità penale è personale e…Nessuno può essere considerato colpevole sino a condanna definitiva”

Il Legislatore nazionale dovrebbe conformarsi all’ interpretatio iuris resa dai Giudici di Lussemburgo, nella misura in cui fanno riferimento ai diritti fondamentali previsti dalla Carta di Nizza, fonte gerarchicamente superiore a quelle regolamentari. Sul piano interno, ciò si traduce nella necessità di conformare la lex specialis alla Carta Costituzionale e ai diritti in essa scolpiti agli art. 24 e 27.

La ratio legis ispiratrice della pronuncia della Corte di Giustizia UE è da ravvisarsi nella necessità di contemperare l’esigenza di tutela di diritti fondamentali dell’uomo, tra i quali quello alla difesa, con la tutela di altri diritti di rango non costituzionale.

Per concludere sull’argomento “il diritto al silenzio quale corollario del diritto di difesa”, inevitabilmente, la scelta dei Giudici è orientata verso la tutela dei primi, a discapito dei secondi, in un’ottica di equo bilanciamento tra interessi contrastanti.

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