Quando si parla di pensioni un argomento centrale è rappresentato dai contributi. Uno dei requisiti fondamentali per avere diritto ad una pensione, infatti, è rappresentato dai versamenti fatti. Più lunga è la carriera di un lavoratore, più alte le sue retribuzioni, e più sarà grande l’importo del montante contributivo. Ovvero l’importo su cui si calcola la pensione. Una carriera ben strutturata, continuativa e lunga, quindi, porta ad avere un assegno pensionistico di tutto rispetto. Ma capitano anche carriere discontinue e precarie e qui entra in gioco la differenza tra contributi minimi e volontari così come quella tra figurativi e da riscatto.
Non tutti i contributi sono uguali
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Quando si parla di contributi INPS è bene sapere che ne esistono di diverse tipologie. Innanzitutto cerchiamo di capire cosa si intende per contributi minimi quando si parla di pensione. Ogni misura previdenziale richiede, insieme al requisito anagrafico, anche quello contributivo. La pensione di vecchiaia, ad esempio, richiede almeno 20 anni di contributi. E questi sono proprio i contributi minimi per accedere a questa tipologia di misura.
Esistono poi i contributi obbligatori, quelli che ogni datore di lavoro versa per il lavoratore dipendente. E che il lavoratore autonomo deve versare per se stesso. Si calcolano con un aliquota (contributiva) percentuale sulle retribuzioni o sui ricavi.
Contribuzione figurativa, come funziona?
A fianco dei contributi obbligatori troviamo anche quelli figurativi. Si tratta di contributi riconosciuti dallo Stato senza il pagamento di nessun onere ma solo per determinati periodi tutelati. Ad esempio i 12 mesi accreditati per il servizio di leva obbligatoria, quelli per la maternità o quelli per la malattia. Ma anche quelli per congedi, permessi, disoccupazione o cassa integrazione.
Sono contributi che hanno la stessa valenza di quelli obbligatori ma per i quali il lavoratore non versa oneri. In alcuni casi non sono utilizzati per raggiungere i 35 anni di contributi richiesti per la pensione di anzianità. È il caso, ad esempio della Quota 100 o 102, per le quali occorrono 38 anni di contributi. Ma almeno 35 anni devono essere raggiunti senza contare contributi figurativi di malattia e disoccupazione.
Differenza tra contributi minimi e volontari, figurativi e da riscatto INPS
Accanto a queste tipologie di contributi, poi, troviamo quelli volontari e da riscatto. In entrambi i casi il lavoratore deve pagare un onere per l’accredito ma si tratta di due istituti molto differenti.
I contributi da riscatto, infatti, permettono di pagare un onere per dei periodi del passato privi di versamenti. E i contributi si collocheranno temporalmente proprio nel periodo in questione e non quando viene sostenuto l’onere. È il caso, ad esempio, del riscatto Laurea o di periodi con omissione contributiva. In ogni caso i periodi riscattabili sono individuati dalla Legge.
I contributi volontari, invece, pur prevedendo un onere per il lavoratore, si riferiscono a periodi presenti. E possono essere versati solo nel caso che il lavoratore sia privo di occupazione (o nel caso che abbia un contratto part time). Sono contributi che si versano, trimestre per trimestre e si collocano nel periodo per il quale si versano.
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