Il danno da amianto come viene considerato?
La violazione delle norme sulla prevenzione e sicurezza sui luoghi di lavoro, che conduce alla morte del lavoratore, configura omicidio colposo in capo al datore di lavoro. E’ quanto sostentuto da Cassazione, con sentenza n. 12151 del 2020. Così, i legali rappresentanti di una s.p.a. venivano condannati per aver cooperato con negligenza, imprudenza e imperizia alla violazione delle norme imposte per la tutela dei lavoratori. In particolare, nella vicenda oggetto di causa, una operaia addetta al montaggio e smontaggio di arredi di veicoli ferroviari riportava lesioni gravissime per effetto dell’esposizione all’amianto. Nella specie, nonostante si sia trattato di piccole particelle di amianto, esse sono state sufficienti a far insorgere nella donna il mesotelioma pleurico, causa della morte.
Nesso di causalità e danno da amianto
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Infatti, la Cassazione ha specificato che, nonostante l’amianto cui è stata esposta la donna, si sia inalato in piccole particelle, il nesso causale sussista. Ciò è stato confermato dal perito nominato, il quale ha sostenuto che l’esposizione è stata quella di carattere professionale, essendo escluse altre cause. Si pensi al fumo di sigaretta o altre cause che nella specie non sono ricorse. Semplicemente, l’inalazione di amianto ha portato, nel lungo periodo, all’insorgenza del tumore che è stato causa della morte.
Accertamento della responsabilità degli imputati
L’origine professionale della malattia e la responsabilità degli imputati è stata accertata anche mediante prove testimoniali. Infatti, grazie ai testi escussi, è stato possibile ricostruire i fatti. I predetti avevano lavorato nello stesso reparto della vittima, dove si effettuavano operazioni di montaggio e smontaggio di arredi delle carrozze. Da esse si liberavano, a causa dell’uso di svitatori e trapani, polveri di amianto. In particolare, dalle prove testimoniali è emerso che: l’impianto di aspirazione non funzionava. Inoltre, le mascherine di carta venivano impiegate a discrezione dei lavoratori. Ed infine, il capo squadra non effettuava i dovuti controlli. In conseguenza di tutto quanto accertato e rilevato nel caso concreto, la Corte Suprema ha respinto tutte le eccezioni e i motivi di impugnazione sollevati dagli imputati.
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