Dall’INPS pensioni più basse per chi ci andrà nel 2023 con un calcolo sempre più penalizzante e senza grandi vantaggi sulle uscite

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Nel 2023 molto potrebbe cambiare dal punto di vista delle pensioni in Italia. Infatti, anche se ancora in alto mare e sempre più difficile da completare, si continua a parlare di riforma delle pensioni. Una riforma che molti lavoratori auspicano, perché continuano ad essere aspri i requisiti per andare in pensione. E dal momento che in Italia ci sono anche delle problematiche legate al lavoro, tra precariato e disoccupazione, centrare la pensione è diventato una priorità per molti lavoratori. Ma di tutte le misure di cui tanto si parla e che potrebbero far parte del pacchetto pensioni della manovra finanziaria, la costante è il penalizzante metodo contributivo.

Dall’INPS pensioni più basse per chi ci andrà nel 2023 con un calcolo sempre più penalizzante e senza grandi vantaggi sulle uscite

Una cosa che tutti sanno è che il sistema contributivo penalizza gli assegni. Col sistema contributivo, le pensioni vengono liquidate in base all’ammontare dei contributi versati durante la carriera lavorativa. Il metodo retributivo, invece, è basato sugli stipendi percepiti dai lavoratori negli ultimi anni di carriera. A conti fatti, c’è anche chi ci rimette oltre il 30% di assegno. E così, chi avrebbe dovuto percepire una pensione lorda da 2.000 euro al mese, finirà con il percepire una pensione da 1.400 euro. E non c’è ipotesi di riforma previdenziale che non vede nel contributivo la via scelta per liquidare le pensioni. Perché questo sistema produce indubbi vantaggi in termini di spesa pubblica per lo Stato.

L’aliquota contributiva di un lavoratore dipendente in genere è pari al 33%. Significa che ogni mese di lavoro, questo soggetto lascia all’INPS per la sua pensione futura il 33% dello stipendio. Nonostante la rivalutazione annuale di quanto versato, è evidente che la differenza reddituale tra l’ultimo stipendio e la pensione, diventa elevata.

Le varie misure che potrebbero fare capolino nel 2023

Anche la proposta dei sindacati, cioè l’uscita dal lavoro a 62 anni con solo 20 anni di contributi per tutti, secondo il governo potrebbe essere effettuata solo con il sistema contributivo. In altri termini, ok all’uscita a 62 anni, ma solo con una pensione calcolata con questo sistema altamente penalizzante.

Anche Pasquale Tridico, presidente dell’INPS, ha proposto una pensione anticipata. E pure lui prevede il ricalcolo contributivo della prestazione, anche se a termine. Infatti, il metodo contributivo verrebbe utilizzato solo per la pensione liquidata dai 62 o 63 anni di età e fino ai 67. A partire dal compimento dei 67 anni l’assegno tornerebbe normale, con l’aggiunta della quota retributiva. Addirittura adesso si parla di una possibilità per la ormai celebre Quota 41 per tutti.

La nuova pensione anticipata, che di fatto sostituirebbe quella ordinaria con 42 anni 10 mesi di contributi per gli uomini 41 anni 10 mesi contributi per le donne, potrebbe vedere i natali solo con il sistema contributivo. E ciò che il Governo ha in mente è che potrebbe davvero consentire ad una misura difficile da varare, di venire la luce. In pratica, con 41 anni di contributi versati un lavoratore potrebbe uscire in pensione. Ma prendendo un assegno nettamente inferiore rispetto a quello di cui vorrebbe lavorando un altro anno 10 mesi arrivando alla soglia dei 42 anni e 10 mesi di contributi. È evidente che dall’INPS pensioni più basse per chi ci andrà nel 2023 è più di un semplice allarme, anche se ancora si tratta di ipotesi.

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