Nel recente summit tenuto in India da diversi attori internazionali, nel consueto formato del G20, sono scaturite nuove intese. È in progetto, nei prossimi anni, una vasta rete infrastrutturale che dovrebbe collegare per via ferroviaria e marittima l’India con il Medio Oriente e quindi con l’Europa, attraverso il Mediterraneo. L’iniziativa, la cui matrice è di chiaro segno USA, nasce anche per contrastare la c.d. “Belt and Road Initiative” in sigla BRI, meglio conosciuta come “Vie della seta”, attraverso cui la Cina sta tentando di espandere la sua influenza in Eurasia e oltre. Dal G20 di Nuova Dehli un grande piano di investimenti. Vediamo di cosa si tratta.
Il primo impulso Usa per un potenziamento delle infrastrutture globali
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Dietro la proposta della nuova infrastruttura IMEC (India, Middle East, Europe Corridor) vi è una strategia USA. Essa trae origine dal piano B3W (Build Back Better for the World) promosso dal Presidente Biden al G7 del 2021. Nel summit di Carbis Bay, in Cornovaglia, l’amministrazione USA, per contrastare l’azione cinese delle c.d. vie della seta lanciata nel 2013, presentò un piano di investimenti per realizzare infrastrutture stradali, ferroviarie, portuali, energetiche e digitali nei Paesi in via di sviluppo. Ad esso aderirono quindi le altre maggiori economie del pianeta, adottando ufficialmente il piano nel comunicato finale del vertice.
Il rilancio USA al G20 con la partnership per gli investimenti globali nelle infrastrutture (PGII)
Di fronte quindi ad un apparente impasse della BRI cinese, frenata anche dalla diffidenza di diversi governi rispetto ai metodi di project financing del Dragone, gli USA rinnovano la loro sfida globale, riproponendo anche al G20 di Nuova Dehli la loro visione per un sistema di infrastrutture mondiale alternativo a quello di Pechino. Anche la guerra in Ucraina ha contribuito a depotenziare il disegno espansivo cinese che vede una delle principali direttrici di penetrazione – detta Middle corridor – andare dall’Asia centrale all’Europa orientale attraverso il Mar Caspio prima e l’Ucraina poi. Potrebbe quindi essere questo un momento favorevole al blocco occidentale per rilanciare, in sede di G20, il progetto già presentato due anni prima nel più ristretto G7 e darne una configurazione più precisa.
Infatti, il memorandum of understanding firmato a margine del summit di Nuova Dehli prevede una connessione marittima tra l’India e gli Emirati arabi e da qui una nuova linea ferroviaria che, attraversando Arabia Saudita e Giordania, possa giungere fino al porto israeliano di Haifa per poi proseguire via Mar Mediterraneo alla volta dell’Europa.
Dal G20 di Nuova Dehli un grande piano di investimenti per contrastare le vie della seta: la fronda dei Paesi avversi al corridoio India, Medio Oriente, Europa
Questo progetto di corridoio prevede anche delle parallele infrastrutture energetiche, nella fattispecie per il trasporto di idrogeno verde, e digitali, attraverso la posa di cavi internet sottomarini. Si tratterebbe quindi di un progetto infrastrutturale ad ampio spettro che, se realizzato, assumerebbe una grande valenza di alleanza politica per i Paesi che vi sarebbero coinvolti.
Ancora di più, quindi, pesa l’esclusione per quei Paesi che, deliberatamente o per esigenze logistiche, ne sarebbero tenuti fuori. Il primo della lista a manifestare apertamente avversione al piano è stato il leader turco Erdogan, il quale ha affermato che non sarebbe sensato immaginare un corridoio infrastrutturale e commerciale che escluda la Turchia, a suo dire naturale ponte logistico tra oriente e occidente.
Si è quindi affrettato a proporre un percorso alternativo che, a partire dall’India, coinvolga il Qatar e l’Iraq, per poi naturalmente transitare attraverso il suolo turco. Un altro paese che non può dirsi certamente soddisfatto per l’iniziativa annunciata al recente G20 è l’Iran che verrebbe totalmente bypassato da tale nuovo corridoio ed insieme ad esso Siria e Libano, inseriti nella sua sfera di influenza. Infine, è da notare che anche l’Egitto non è stato incluso nella rotta del corridoio. Per non parlare poi della Russia, totalmente sconnessa dal previsto progetto. Mosca e Ankara sembrano fare un tuffo storico all’indietro, alla vigilia della Prima guerra mondiale. Per effetto di quei ricorsi storici così familiari, imposti, secondo la nota teoria di Tim Marshall, dalla geografia, si punta ad un riassetto dell’ordine mondiale, che ha un aspetto già visto. A settant’anni dalla decolonizzazione, l’IMEC somiglia assai all’Impero britannico.
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