Quali sono le connessioni che intercorrono tra il cibo che assumiamo e il nostro stato di salute mentale? Quanto di noi parla il piatto messo a tavola per ogni pasto della giornata? Numerosi sono gli studi che evidenziano la forte correlazione tra stile alimentare e benessere fisico e mentale. Vediamo come riconoscere i campanelli dall’allarme e capire che qualcosa non va.
Cosa sono i disturbi della condotta alimentare
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I disturbi della condotta alimentare sono in netto aumento negli ultimi anni ed hanno subito una forte impennata nell’ultimo periodo di pandemia globale. Alcuni dei principali riportati nel Manuale Diagnostico e Statistico-V (DSM-V) sono: anoressia nervosa, bulimia nervosa e disturbo da alimentazione incontrollata. Le cause scatenanti e predisponenti possono essere molteplici e la loro indagine permette un intervento efficace sulla persona. Dacci oggi il nostro pasto quotidiano: perché siamo quel che mangiamo?
Qual è il senso dei disturbi alimentari?
La vita, per definirsi tale, necessita di esser nutrita. Il nutrimento non è soltanto quello alimentare, ma è anche affettivo, relazionale, spirituale, fisico e culturale. Nutrire non significa semplicemente sfamare e nemmeno sopravvivere alla fame. Il suo senso ha un significato simbolico molto più esteso e ben più ampio di un semplice appagamento istintuale.
Come sappiamo, le influenze culturali e gli standard sociali hanno un forte impatto sul modo in cui selezioniamo e ci procuriamo i nostri alimenti. Molto spesso la scelta del cibo da mettere o da non mettere nel piatto non è il semplice risultato di un bisogno alimentare. Al contrario, essa si connota di diverse sfaccettature come, ad esempio, quelle di tipo socio-culturali: a volte scegliamo per far tornare una immagine di noi stessi coerente con le nostre aspettative. In questo senso, mangiare è processo psicologico e fisico fortemente influenzato dalle norme e dai nostri atteggiamenti nei riguardi del cibo.
Perché siamo quel che mangiamo
Dacci oggi il nostro pasto quotidiano: perché siamo quel che mangiamo e perché scegliamo un alimento piuttosto che un altro? Il cibo funge spesso da mediatore tra noi e il mondo esterno. Immaginiamo una persona con grave obesità che continua a mangiare nonostante conosca il rischio al quale si espone. Oppure, al contrario, la persona che si priva del cibo fino alle conseguenze più estreme. È assai frequente che questi soggetti, esprimano attraverso il rapporto con il cibo un profondo dolore che non riescono a gestire. Tutti i disturbi della condotta alimentare coinvolgono una forte componente psicologica che li supporta e li rinforza nel tempo.
Come fare per ridurre l’impatto emotivo sul consumo di cibo e tornare a nutrirsi?
Il lavoro più efficace potrebbe essere quello che coniuga il miglioramento delle abitudini alimentari con un lavoro sui vissuti emotivo-affettivi. In questo senso, si potrebbe:
- Favorire l’educazione familiare all’alimentazione e all’emotività: uno degli aspetti da considerare riguarda il fatto che le abitudini alimentari, così come quelle alla regolazione emotiva, si apprendono sin da piccoli. Per tale ragione, una delle prime cose da fare è quella di educare la famiglia al corretto e sano stile alimentare oltre che affettivo. È importante dare voce alle proprie emozioni piuttosto che affogarle nel cibo o nella distruzione del proprio corpo;
- Prendere in esame quello che appare come un sintomo per trovare un significato e un senso al proprio rapporto con il cibo. Molto spesso, ai disturbi della condotta alimentare si associano vissuti emotivi come senso di inadeguatezza, frustrazione, solitudine e colpa. In questi casi è sempre preferibile rivolgersi a professionisti esperti che possono aiutare la persona in difficoltà. Sciogliere particolari nodi affettivo-emotivi potrebbe rivelarsi di grande aiuto per ricominciare a nutrire la propria esistenza.
Modificando il proprio rapporto con il cibo si favorisce uno stato di salute fisica e mentale più elevato. Ecco perché è importante l’intervento precoce e la prevenzione nella più parte dei casi.