Mario Draghi si è dimesso provocando una crisi di Governo. Il Premier dimissionario, in ogni caso, rimarrà in carica fino alle nuove elezioni di settembre. Ovviamente in questo lasso di tempo si occuperà solo delle cose più urgenti. Di fatto, quindi, la riforma pensioni è messa da parte in ambito decisionale ma sicuramente tiene banco per quel che riguarda la campagna elettorale. L’attenzione è alta sulla crisi di Governo e rischi che si possono correre negli ambiti che maggiormente interessano gli italiani. E nello specifico, appunto, pensioni e reddito di cittadinanza.
Il reddito di cittadinanza è a rischio cancellazione?
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La paura più grande dei percettori del reddito di cittadinanza è che il beneficio possa venire cancellato dal prossimo Governo. Si tratta, infatti, di una agevolazione largamente criticata non solo in ambito sociale, ma anche lavorativo. Molti hanno accusato il sussidio per la carenze di personale stagionale, sostenendo che i titolari preferiscano stare a casa piuttosto che accettare un lavoro a termine.
Ma la grossa pecca del reddito di cittadinanza è quella di non aver assolto a pieno il suo scopo. Se da una parte, infatti, è riuscito a contrastare in modo efficacie la povertà, lo stesso non può dirsi della parte che riguarda il lavoro. Il sussidio, infatti, non è riuscito nella reintroduzione di chi lo percepisce nel mondo del lavoro. E proprio per questo è considerato uno strumento fine a se stesso e criticato dalla larga parte dei partiti politici.
Chiunque vinca le elezioni e formi il nuovo Governo, quindi, potrebbe decidere di abolire lo strumento. Perché inefficace e troppo costoso. Ma non è solo il RdC a destare preoccupazione.
Crisi di Governo e rischi che si possono correre per pensioni e RdC
I tempi stringono e le elezioni li accorciano ancora di più. Proprio per questo il timore, fondato, è che non si riesca a portare a termine una discussione costruttiva in ambito previdenziale entro fine anno. E che senza un intervento dell’esecutivo si torni, per forza, alla sola Legge Fornero.
L’argomento pensioni diventa il cavallo di battaglia di tutti i partiti in campagna elettorale, ma difficilmente ci sarà il tempo di fare qualcosa nel 2022. Ogni partito, infatti, sta avanzano la sua proposta, da Quota 41 per tutti ad un nuovo rafforzamento dell’Ape sociale. Passando, ovviamente, per la pensione minima a 1.000 euro ipotizzata da Silvio Berlusconi. Il M5S, invece, sostiene la proposta di Tridico con una pensione contributiva a 63 anni affiancata dal riscatto laurea gratuito.
Ma il vero rischio, però, è che dopo le elezioni resteranno una manciata di mesi alla fine dell’anno. E che per forza di cose il nuovo esecutivo non riesca a realizzare quanto promesso. E anche quest’anno, di fatto, la riforma pensioni è rimandata all’anno prossimo.
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