Il dollaro non può essere più considerato la valuta di riserva nell’attuale contesto economico. Gli ultimi sette giorni hanno segnato il declino (seppur momentaneo) del biglietto verde, che ha dovuto fare i conti con enormi livelli di volatilità contro le altre valute principali.
Il cambio euro/dollaro si è rafforzato a 1,1298. Ma la moneta statunitense si trova anche a -0,83% dalla sterlina (a 1,3015) e a -2,42% rispetto al franco svizzero (a 1,2202), registrando un minimo di dieci anni rispetto a quest’ultimo (che è considerato bene rifugio).
Un indebolimento delle valute in seguito all’introduzione dei dazi era facilmente prevedibile, ma ci si aspettava che a soccombere fossero principalmente le altre monete. Spesso, però, si ignora che il valore del dollaro dipende da una serie di elementi.
Il dollaro non è più un bene rifugio: il rischio recessione è reale
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C’è molto di più della sola guerra di dazi sul crollo del dollaro e dei Treasury USA. Nella maggior parte dei casi, è proprio nel mercato americano che gli investitori cercano conforto nei momenti di incertezza, perché il biglietto verde ha sempre rappresentato la valuta di riserva mondiale, grazie alla stabilità dei mercati finanziari statunitensi. Ora, invece, tale certezza sembrerebbe crollata ed emergerebbe una sfiducia diffusa verso tutti gli strumenti in dollari (non solo azioni, ma anche titoli di Stato).

Il dollaro non è più un bene rifugio: il rischio recessione è reale
L’avanzata del pericolo recessione e il deflusso di capitali dagli USA ad altre piazze internazionali (soprattutto europee) hanno consentito il fortissimo ribasso, che va ben oltre le aspettative. Dall’inizio della nuova Presidenza di Donald Trump, le perdite sono state del 7% e del 2% dalla presentazione del piano commerciale. La crisi sarebbe così profonda che, attualmente, il dollaro avrebbe degli andamenti simili a quelli di una moneta di un mercato emergente.
In un simile contesto, gli investitori si stanno liberando delle attività in dollari, i rendimenti dei titoli di Stato americani crescono, il debito si aggrava e cresce il pericolo di recessione. Si tratta di un circolo vizioso che va assolutamente interrotto.
Lo stop alle importazioni non giova agli USA: come arginare l’instabilità dei mercati?
La debolezza del dollaro è legata all’incremento del prezzo delle importazioni ma, al momento, gli USA non avrebbero un apparato industriale adeguato per sopperire totalmente alla fine delle importazioni. Secondo i dati del Dipartimento del Commercio, solo la metà dei beni e dei servizi sarebbe prodotto a livello nazionale.
Ma, dunque, le imprese e gli investitori privati devono davvero abbandonare il mercato statunitense e gli indici denominati in dollari e preferire asset in valuta locale oppure in zone geografiche più sicure, come l’Europa? La questione è di primaria importanza, se rapportata alla necessità di copertura del rischio di cambio da parte delle aziende. Chi non riesce a mettere in atto strumenti di gestione del rischio potrebbe subire conseguenze molto pesanti. Ma dichiarare la morte del dollaro senza porre l’accento sui possibili piani d’azione sembrerebbe azzardato per la maggior parte degli economisti. Ancora una volta, ci sarà bisogno di mostrare l’unione tra Stati e di mettere da parte le più pericolose strategie di guerra commerciale.