Ci sono periodi in cui un argomento va per la maggiore rispetto ad altri. Ed alcune parole sono usate in maniera più frequente di altre. Oggi una delle parole più utilizzate, ma spesso fraintesa o interpretata male, è la parola plusvalenza. Un termine molto in voga in materia finanziaria ed economica, ma che adesso è diventata di dominio pubblico grazie allo sport nazional popolare, cioè al calcio. Per colpa delle plusvalenze infatti la squadra con più tifosi in Italia, la Juventus, è finita sotto inchiesta.
A tal punto da subire una penalizzazione dal punto di vista della sua classifica. Ma non tutti sono a conoscenza di cosa sono le plusvalenze e perché possono portare imprese, aziende e lavoratori a subire accertamenti e indagini.
Plusvalenze, ecco cosa sono e perché non sono illegali
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Far quadrare i conti con le plusvalenze è una delle cose che le aziende a qualsiasi livello fanno. Solo che nel Mondo del calcio, dove adesso è esplosa la grana di queste plusvalenza, spesso vengono utilizzate in maniera non appropriata e quindi pericolosa per gli stessi motivi per cui vengono utilizzate. La plusvalenza in genere è una voce attiva di bilancio data dalla differenza tra il valore di acquisto di un bene e quello di cessione dello stesso bene, magari al netto della fase di ammortamento. Dal momento che nello sport anche questa parola adesso è diventata di pubblico dominio, non c’è niente di meglio che utilizzare i calciatori per capire bene il funzionamento di queste plusvalenze e il perché per esempio, alla Juventus sono state contestate.
Cosa sono le plusvalenze e perché serve attenzione
Un calciatore, così come un qualsiasi altro bene comperato da un’azienda per la sua attività, ha un costo di acquisto che finisce a bilancio come vece passiva in un esercizio finanziario. Solo che il bene comperato, serve alla attività di un’azienda, e nel calcio serve alla squadra che ha comperato il calciatore. Durante l’utilizzo di un bene, il valore di acquisto si abbatte del suo ammortamento.
Per esempio un bene comperato a 25.000 euro per un suo utilizzo di 5 anni, dopo due anni di utilizzo vale 15.000 euro. Infatti, il valore del bene acquistato viene diviso per gli anni di utilizzo ed ogni anno che passa, l’azienda che ha comperato il bene ammortizza il suo costo. Ma se dopo due anni di utilizzo l’azienda decide di vendere il bene, che vale 15.000 ma che invece è venduto a 20.000 euro, ecco che si materializza la plusvalenza di 5.000 euro. Tutto regolare, e tutto lecito.
Perché ci sono quelle fittizie
Quindi, una plusvalenza non è per forza di cose una cosa illecita, anzi, è l’esatto contrario. Ma sono alcuni metodi, utilizzati da alcune aziende, che possono sfociare nell’illegalità. In attesa che si completino le istruttorie di ricorsi e appelli, pare (usare l’ipotetico è necessario visto che siamo ancora ai primi gradi di giudizio) che proprio la Juventus abbia adottato delle iniziative che rendono poco lecita la plusvalenza. Se la plusvalenza è fatta di soldi, poco si può obbiettare. Ma nel calcio spesso le plusvalenze sono date da scambi di calciatori. Come se due aziende si scambiassero due macchinari pagati 4.000 euro e scambiati a 20.000. Solo per portare in plusvalenza 16.000 euro.