A volte può accadere che l’INPS, chiamando a visita di revisione il cittadino invalido, revochi ingiustamente l’indennità di accompagnamento fino ad allora percepita.
Ma cosa accade se l’INPS invia l’indennità di accompagnamento quando la stessa è stata revocata?
Il cittadino invalido, dovrà restituirla?
In che modo potrà restituirla considerate le sue condizioni?
Ci sono casi in cui la revoca dell’indennità di accompagnamento, a seguito di revisione, risulta davvero ingiusta, iniqua e contraddittoria con i pareri che gli stessi medici l’avevano legittimata.
Ciò perché, può avvenire che a subire la revoca siano soggetti che versano in condizioni gravissime, se non addirittura peggiori, rispetto a prima.
Ad esempio, è accaduto che un soggetto invalido, si è reso conto che l’indennità gli era stata revocata da tempo, nonostante gli fosse stata inviata regolarmente fino al mese precedente!
Cosa fare a questo punto? Cosa accade se l’INPS invia l’indennità di accompagnamento quando la stessa è stata revocata?
Il rischio è che si possa incorrere in un pignoramento
Indice dei contenuti
Accade che l’Istituto, chiederà la restituzione degli importi che gli aveva pagato fino dalla data della revoca, e che il malcapitato aveva “indebitamente” percepito.
Il cittadino, che continua ad essere invalido, nonostante la revoca da parte dell’istituto, dovrà restituire l’importo, essendosi verificato un indebito arricchimento da parte sua nei confronti dell’Ente.
L’INPS potrà agire coattivamente nei suoi confronti, anche pignorando il quinto della pensione.
Nel caso specifico il soggetto era affetto da una schizofrenia cronica, del tutto invalidante tanto da rendere il soggetto impossibilitato all’espletamento di tutte le attività della vita quotidiana.
Una volta revocata si può richiedere l’indennità di accompagnamento?
Il cittadino che si vede revocare ingiustamente l’indennità, potrà ricorrere avverso il verbale di revoca che gli verrà comunicato, a mezzo raccomandata, nel termine di sei mesi.
In alternativa, potrà ricominciare tutto l’iter, con la domanda da inoltrare attraverso il medico curante per poi presentarsi avanti alla commissione dei medici dell’INPS. E, purtroppo, attendere la conclusione del procedimento.
Una volta notificatogli il verbale, se sarà di rigetto, potrà ricorrere, entro il termine perentorio di sei mesi, innanzi al giudice.
Nella fattispecie descritta, il malcapitato ha dovuto ricominciare tutto l’iter amministrativo, e addirittura ricorrere innanzi al tribunale, ove il CTU nominato, ha confermato la gravissima patologia del ricorrente.
L’INPS è stato condannato a corrispondere al ricorrente anche gli arretrati, che purtroppo sono stati trattenuti dall’Ente, a causa dell’indebito arricchimento.
Come si dice: oltre al danno anche la beffa.
Approfondimento
Il marito può chiedere il risarcimento per i danni alla vita di coppia?