In Italia trovare un lavoro, anche a tempo parziale, non è mai facile. Così come la perdita del posto di lavoro viene spesso vissuta in tutto e per tutto come un dramma. Con ricadute negative non solo di natura economica, ma anche psicologica. In quanto, non tutti poi trovano la forza di rimettersi in gioco.
Detto questo, pur tuttavia, non è di certo raro il caso di poter essere reclutati da un’impresa avendo la possibilità di scegliere. Tra il rapporto di lavoro subordinato e la collaborazione esterna. Vediamo allora come, quando e quale tra le due opzioni conviene. Valutando nello specifico i vantaggi e gli svantaggi.
Come farsi assumere e come scegliere tra consulente esterno e lavoratore dipendente valutando tutti i pro e i contro
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Nel dettaglio, farsi assumere in qualità di consulente esterno offre il vantaggio di poter lavorare non solo in autonomia, ma anche senza prendere mai ordini da un capo. Per un consulente esterno, infatti, l’azienda non è altro che un committente. Per il quale non occorre far altro che eseguire dei lavori concordati a un prezzo pattuito a priori. Con il pagamento della prestazione che poi sarà effettuato dall’impresa dopo che il consulente avrà spiccato e inviato la fattura elettronica.
Quindi, su come farsi assumere, la scelta della consulenza esterna è comoda ed è vantaggiosa, in particolare, quando si è in grado di gestire un portafoglio di commesse. Potendo così conseguire un volume di ricavi e di compensi che spesso è anche rilevante e commisurato alla bravura.
Pur tuttavia, chi lavora come consulente esterno è chiamato ad accollarsi tutta la fiscalità. Ovverosia, non solo le tasse con l’apertura della partita IVA, ma anche i contributi previdenziali. Nonché, tra l’altro, eventuali spese legate all’affitto dei locali dove aprire uno studio di consulenza.
Quando conviene un rapporto subordinato rispetto alla consulenza esterna a partita IVA
Di contro, e per quanto detto, è sempre meglio l’assunzione con un contratto di lavoro subordinato quando, con la consulenza esterna a partita IVA, i committenti sarebbero pochi o sarebbero giusto rappresentati da una sola azienda.
Anzi, quando si apre una partita IVA in regime di monocommittenza alla lunga si può finire sotto la lente del Fisco e dell’INPS. In quanto si tratta di una condizione che potrebbe far presumere l’apertura della posizione IVA come uno stratagemma per camuffare, invece, quello che in realtà e nei fatti è un vincolo di subordinazione.
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