La NASPI è un’indennità di disoccupazione istituita con il D. Lgs 22/2015. Si tratta di un sussidio che spetta alle persone che perdono involontariamente il lavoro o sono costrette alle dimissioni per giusta causa. Il citato Decreto stabilisce anche che, in linea generale, il diritto alla NASPI decade al verificarsi di alcuni eventi. L’indennità ha infatti una durata massima proporzionale al periodo di precedente occupazione del lavoratore.
Inoltre, chi sottoscrive un nuovo contratto o apre un’attività autonoma può veder sospendere o decadere il proprio assegno mensile. In questo articolo analizzeremo proprio i limiti di compatibilità tra indennità di disoccupazione ed eventuali nuove attività lavorative. Cercheremo anche di rispondere ad una domanda molto frequente: chi percepisce la NASPI può lavorare a chiamata? La normativa non impedisce di fatto il mantenimento dell’indennità per chi lavora ma ne indica chiaramente le limitazioni.
I limiti reddituali
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L’obbiettivo della NASPI è sostenere economicamente le persone disoccupate incentivandole al contempo nella ricerca di un nuovo lavoro. Per questo motivo, lo Stato prevede decadenza, sospensione o riduzione dell’indennità a seconda dei casi che analizzeremo di seguito. Un nuovo contratto subordinato di almeno 6 mesi e con un reddito superiore ad 8.000 euro comporta la decadenza dalla NASPI.
L’INPS provvede invece a sospendere temporaneamente il trattamento economico per contratti di durata inferiore ad un semestre. Un nuovo contratto di valore totale inferiore ad 8.000 euro comporta invece una riduzione dell’importo della NASPI. Per chi inizia un’attività autonoma, l’INPS prevede una riduzione della NASPI per fatturati inferiori a 4.800 euro. La Redazione di ProiezionidiBorsa ha trattato nei dettagli questo tema in un recente approfondimento. Cerchiamo ora di comprendere se chi percepisce la NASPI può lavorare a chiamata.
Chi percepisce la NASPI può lavorare a chiamata?
Il lavoro a chiamata è una tipologia di lavoro intermittente assimilato dalla Legge 99/2013 al lavoro subordinato. Questi contratti possono prevedere per il lavoratore l’obbligo di rispondere alla chiamata del datore di lavoro. In questo caso l’impresa dovrà corrispondere un’indennità di disponibilità. In altri casi il lavoratore non avrà alcun obbligo di risposta e non percepirà alcuna indennità.
Proprio la tipologia di contratto determina la compatibilità con la NASPI sulla base dell’effettiva retribuzione percepita. Insomma, un contratto a chiamata è incompatibile con la disoccupazione se dura oltre sei mesi con remunerazione superiore ad 8.000 euro. Un contratto inferiore al semestre interrompe solo temporaneamente la NASPI, mentre con guadagni entro gli 8.000 euro il diritto non decadrà.