Il reddito di cittadinanza, almeno come il Superbonus al 100%, ha rappresentato una misura turbolenta. In entrambi i casi, infatti, trattandosi di interventi molto costosi per lo Stato, si sono avute grosse contrapposizioni politiche. Quindi, abbiamo assistito a numerosi interventi, tutti con un unico denominatore: quello di disincentivare la fruizione abusiva degli aiuti. Eppure, scovare i furbetti non è facile, perché moltissimi, pur percependo il sostegno statale, continuano a lavorare al nero, contravvenendo alle regole. In questo modo, la misura si trasforma in uno strumento che impoverisce tutti per aiutare i “falsi poveri”.
Sicché, a fronte della reiterazione delle condotte truffaldine e abusive, sono intervenuti nuovi moniti e chiarimenti per chi usufruisce dell’aiuto senza averne diritto. Ebbene, chi percepisce il reddito di cittadinanza e lavora in nero viola l’art. 7, comma 2 della legge n. 26/2019. Quindi, rischia più di un anno di carcere. Stesso dicasi per chi percepisce regalie occasionali e non lo comunica all’INPS.
La decisione della Cassazione
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In particolare, si è chiesto di decidere alla Corte di Cassazione penale n. 25306/2022 in merito alla condotta su descritta. Essa ha confermato la rilevanza penale della condotta e quindi la sussistenza del reato menzionato. Il punto centrale della decisone ha riguardato la qualificazione del lavoro in nero. Ebbene, in base alla comune regola di esperienza “l’attività lavorativa, anche se irregolare, viene retribuita”. Detta retribuzione, anche se qualificata come “regalia” corrisposta in “occasioni particolari”, è purtuttavia un compenso. Quindi, per essa, sussisteva l’obbligo, da parte del percettore, della comunicazione all’INPS. Pertanto, in difetto, la conseguente sanzione consiste in più di un anno di galera per i furbetti percettori del reddito di cittadinanza. Si tratta, appunto, di chi, pur conseguendo il sostegno, continua tuttavia a lavorare per conto suo, senza dichiararlo.
Più di un anno di carcere ai furbetti fruitori del reddito di cittadinanza che eludono questa regola
La conseguenza è che, come deciso dalla Corte, l’imputato deve andare in carcere. Ciò, in virtù del reato di cui all’articolo 7, comma 2, della legge 28 marzo 2019 n. 26. A nulla varrebbe, in proposito, che il soggetto riferisca di non aver percepito una retribuzione vera e propria. Nel caso di specie, infatti, l’attività lavorativa si svolgeva gratuitamente e si riconoscevano solo, a titolo di compenso, regalie saltuarie. Tuttavia, l’imputato è stato condannato, in primo grado, alla pena della reclusione di 1 anno e 8 mesi. In appello, la pena è stata ridotta ad 1 anno, 1 mese e 10 giorni di reclusione.
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