La circostanza che i nostri dati personali circolino continuamente on line, li ha resi vulnerabili. Infatti, oramai, l’uso della tecnologia, per tutte le cose della vita quotidiana, implica un flusso enorme di informazioni sul web. Sicché, la condivisione e la diffusione dei dati, ha reso possibile l’affermazione di un fenomeno quale il furto di identità. Quest’ultimo, sul piano giuridico, viene associato al reato previsto dall’art. 494 c.p., ossia alla “sostituzione di persona”.
Si tratta di un fenomeno molto ricorrente soprattutto sui social network, considerata la possibilità di creazione di falsi account. In altri casi, invece, si ci appropria, addirittura, delle credenziali di terzi, e si utilizzano i loro account. Si pensi ai recenti casi eclatanti, di furto di dati finalizzato alla sottrazione di danaro. Il tutto, attraverso WhatsApp, email o messaggi truffa, diretti, appunto, a carpire i dati e le credenziali di accesso degli utenti. Detto fenomeno è comunemente denominato pishing.
Fattispecie della sostituzione di persona
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La condotta in precedenza descritta, pur non corrispondendo alla fattispecie di cui all’art. 494 c.p., viene in essa sussunta. Ciò, in quanto manca una norma incriminatrice specifica. Pertanto, la condotta disciplinata, è punita con la reclusione fino a 1 anno. A conferma dell’applicazione di detta norma penale sulla sostituzione di persona, è intervenuta più volte la Cassazione. In proposito, si è precisato che il bene giuridico tutelato è quello della fede pubblica, non solo quella privata. Quindi, la norma non mira a tutelare soltanto il soggetto direttamente leso, la cui identità viene abusata, bensì la generalità degli utenti. Tant’è che la condotta lesiva è posta in essere in rete e, quindi, è potenzialmente destinata ad estendersi a dismisura. Il tutto, colpendo destinatari indeterminati ed innumerevoli, che sono appunto gli utenti dei rapporti telematici.
Quindi, attenzione perché, attraverso il web possono rubarci l’identità. Ciò può avvenire anche nel caso, pur esso ricorrente, di creazione di un profilo, con l’utilizzo non consentito dell’immagine altrui.
Attraverso il web possono rubarci l’identità utilizzando i nostri dati personali
Infine, nel caso di specie, potrebbe applicarsi anche un’altra fattispecie incriminatrice. Si consideri, infatti, che con legge n. 119/2014, ha modificato l’art. 640 ter c.p., introducendovi un terzo comma. La norma è rubricata: “frode informatica commessa con sostituzione di identità digitale”. Essa, prevede la pena della reclusione da 2 e 6 anni e la multa da 600,00 euro a 3.000,00 euro. Il tutto, se il fatto sia commesso mediante furto o indebito utilizzo dell’identità digitale, in danno di uno o più soggetti. La fattispecie di base, prevista nel promo comma prevede la querela della persona offesa come condizione di procedibilità. Ciò, salvo che ricorrano le ipotesi di cui al 2° o 3° comma, ovvero altre circostanze aggravanti.
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