Avere un conto corrente in banca o alla posta è ormai una prassi comune a quasi la totalità delle persone. Soprattutto da quando il governo ha cominciato la sua guerra al contante, stabilendo i limiti nel suo utilizzo. Il conto corrente è ormai uno strumento indispensabile per la gestione del proprio denaro e per l’amministrazione dei propri risparmi. Molti lavoratori lo utilizzano per farsi accreditare lo stipendio e/o addebitare i canoni di bollette. Con un conto corrente si possono ricevere e inoltrare bonifici, ovvero trasferire soldi da un conto corrente. Insomma sicuramente è uno strumento di garanzia dove depositare i soldi e proteggerli da eventuali rischi.
Un comportamento spesso comune tra coniugi/conviventi o genitore e figli è aprire un conto in comune con l’intenzione di trasferire la titolarità delle somme all’altro. Tuttavia le cose non stanno proprio così. Soventemente i problemi si verificano in caso di separazioni o decesso di uno dei cointestatari del conto. In quest’ultima ipotesi potrà prelevare subito i soldi dal conto cointestato del defunto anche se non erede sia in banca che alle Poste l’altro cointestatario. Infatti la banca dovrà corrispondere all’altro correntista, in ipotesi di conto a firme disgiunte, le somme depositate qualora le chieda. Quest’obbligo ricorre in virtù del principio della solidarietà attiva. Pertanto il cointestatario superstite potrà continuare ad operare sul conto, effettuando prelievi o versamenti. Ma gli altri eredi aventi diritto potranno pretendere quanto loro spettante in sede civile.
Attenzione a prelevare i soldi da questo conto in banca o alla posta perché non basta essere cointestatari
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Tuttavia non tutti sanno che una volta depositati i soldi sul conto, chi li versa oltre a perderne il possesso ne perde anche la proprietà. Di chi sono allora i soldi depositati sul conto? A dare una risposta al quesito è proprio il codice civile all’art. 1834. Infatti il testo recita testualmente che nei depositi di denaro presso una banca questa ne acquista la proprietà. Conseguentemente la banca è obbligata a restituirla nella stessa specie monetaria, alla scadenza del termine convenuto o a richiesta del depositante. La banca pertanto diventa una vera e propria debitrice del depositante. Se quest’ultimo dovesse depositare un importo in valuta straniera, la banca dovrà restituire quanto dovuto nella moneta estera depositata ovvero avente corso legale.
Conseguentemente, qualora si decida di aprire un conto cointestato ritenendo in tal modo di fare una donazione all’altro cointestatario, questa non sarà la strada giusta. Come più volte precisato anche dalla Cassazione il versamento di una somma da un coniuge all’altro su conto cointestato non costituisce un atto di liberalità. Il deposito di somme da parte di un cointestatario non configura pertanto una donazione se non si prova l’animus donandi ovvero lo spirito di liberalità. L’intenzione dovrà sussistere ab origine al momento della sottoscrizione del contratto con la banca o al momento del deposito stesso. Pertanto attenzione a prelevare i soldi in questo caso perchè la condotta del coniuge o di chiunque altro cointestatario che decida di appropriarsi delle altrui somme versate, in mancanza di indizi che lasciano presumere l’intento di donare, sarà da considerarsi illecita e arbitraria.
Un esempio calzante potrebbe essere quello di un conto cointestato alimentato con versamenti mensili dello stipendio di un solo cointestatario. In tal caso l’unico creditore nei confronti della banca sarà quest’ultimo. Pertanto la condotta del coniuge o di chiunque altro cointestatario che decida di appropriarsi delle altrui somme versate potrebbe essere illecita. Infatti in mancanza di indizi che lasciano presumere l’intento di donare, sarà da considerarsi sicuramente arbitraria.
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