Andare in pensione a 64 anni nel 2023 potrebbe costare sugli assegni da 1.000 euro dai 100 ai 180 euro

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I tempi ormai stringono per lavorare su una riforma previdenziale e i lavoratori iniziano a preoccuparsi. Anche perchè, ormai, la Quota 102 è a metà del suo percorso per scadere, poi, a fine 2022. A conti fatti, quindi, il Governo ha a disposizione davvero molto poco tempo per individuare una misura di flessibilità in uscita. Questo per evitare nel 2023 un brusco ritorno alla Legge Fornero e ai suoi rigidi requisiti.

I tavoli di incontro tra Governo e parti sociali, però, sono fermi ormai da mesi, anche a causa del conflitto ucraino. Quest’ultimo, infatti, ha cambiato le priorità dell’esecutivo nonostante i problemi della previdenza stringono. Le ipotesi avanzate in questi mesi sono molte e andare in pensione a 64 anni nel 2023 potrebbe essere possibile. Ma con delle penalizzazioni.

Le ipotesi in campo nella riforma pensioni

L’ipotesi da sempre più gettonata per i lavoratori è, senza ombra di dubbio, la Quota 41 per tutti che, però, sarebbe con penalizzazioni. Perchè il Governo Draghi ha dichiarato fin da subito che qualsiasi sia il nuovo intervento messo in campo nel 2023 deve essere sostenibile. E non pesare, quindi, troppo sulle casse dello Stato. Proprio in quest’ottica la pensione a 64 anni con 20 anni di contributi sembra essere coerente con quello di cui si ha bisogno.

Consentirebbe, infatti, di avere un canale di uscita flessibile ed accessibile a tutti. Ma con il ricalcolo interamente contributivo della pensione sarebbe anche sostenibile per i conti pubblici. La misura, infatti, già esiste e viene utilizzata da chi ha iniziato a lavorare dal 1996 in poi. Si tratta della pensione anticipata contributiva prevista dalla Legge Dini del 1995.

Andare in pensione a 64 anni nel 2023 potrebbe costare sugli assegni da 1.000 euro dai 100 ai 180 euro

Mentre per i contributivi puri la pensione a 64 anni non costituisce una penalizzazione, quanto costerebbe a chi ha contributi versati prima di questa data? Al riguardo sono state fatte molte simulazioni per comprendere quanto la misura inciderebbe sulla pensione dei lavoratori “misti”.

Quello che emerge è una penalizzazione che va dal 10 al 18% dell’assegno previdenziale. E l’oscillazione dipende dal numero di anni di contributi versati prima del 1996. Il picco massimo, del 18%, però, riguarderebbe solo pochi lavoratori. Tutti quelli che hanno una media di 6 anni di contributi versati prima del 1996, infatti, dovrebbero rinunciare solo al 10% dell’assegno.

In pratica su una pensione di 1.000 euro la penalizzazione andrebbe a pesare dai 100 ai 180 euro al mese. E proprio per questo motivo i sindacati non sono allettati dalla proposta, ritenendola troppo onerosa per i lavoratori.

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