Il suo caschetto biondo ha accompagnato gli italiani per più di mezzo secolo. Un’artista a tutto tondo, capace di piacere in modo trasversale ed essere d’ispirazione a più di una generazione.
Abbiamo purtroppo dovuto dire addio all’icona di femminismo e libertà, Raffaella Carrà.
Per alcuni, forse, era solo una cantante di canzonette leggere. Ma, a dirla tutta, tanto leggere non erano le sue parole, anzi. Erano un grido di liberazione e libertà.
Un’artista come poche
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Cantante, ballerina, showgirl, presentatrice. La sua carriera è stato un successo dopo l’altro.
Piaceva perché era fresca, schietta, sensuale, ma mai volgare. Piaceva perché aveva talento.
Si è trovata in un’epoca di grandi cambiamenti, si pensi al ’68, in cui vi erano due fazioni, i giovani rivoluzionari ed i conservatori più integerrimi. Ha sovvertito molte regole ferree del tempo. Fece scalpore quando, nella sigla di apertura del programma “Ma che musica maestro!” nel 1970, osò mostrare l’ombelico. Ma quello fu solo l’inizio. Celebri i suoi balli, alcuni anche molto sensuali per l’epoca. Primo su tutti il Tuca Tuca.
Fu da ispirazione per tutte le donne che lottavano per i propri diritti, per avere voce, per essere padrone della propria vita e del proprio corpo. Insegnò alle donne che potevano amare chi volevano e che potevano fare del proprio corpo ciò che più desideravano. Che non erano più costrette a vivere in sordina, sempre all’ombra di un uomo, ma potevano ridere e divertirsi da sole o in coppia. Insomma, potevano vivere e, soprattutto, scegliere.
Addio all’icona di femminismo e libertà
È questa la prima parola che viene in mente, quando si pensa a Raffaella Carrà: libertà. Libertà dalle costrizioni, dagli schemi, da tutto ciò che non va di fare. Libertà da quegli uomini ancora legati alla vecchia concezione di donna, che era più mamma e moglie e meno donna.
“Quando ho deciso che facevo da me” cantava nel brano Rumore, proprio a rafforzare i concetti di cui si faceva fautrice.
Ce ne saranno ancora di donne capaci di rivoluzionare il sistema? Lo si spera. Nel frattempo continueremo a ricordarla ed ad amarla… da Trieste in giù.