Il Caucaso è, storicamente, in costante sommovimento. Nel complesso quadrante, a cavallo di due continenti, nulla, infatti, avviene mai per caso. In quel crogiolo di lingue ed etnie, per centinaia di anni si sono confrontati l’Impero russo, quello ottomano e quello persiano che alternativamente hanno esercitato il controllo su porzioni più o meno estese del corridoio che separa il Mar Nero dal Mar Caspio. Dopo la dissoluzione dei tre imperi e la costituzione dell’Unione sovietica, il confine meridionale fu sigillato, con il risultato che le turbolenze caucasiche non scomparvero ma si inabissarono come un fiume carsico, per tornare alla luce poco prima della dissoluzione dell’URSS. Accordo di pace “a portata di mano”?
Lo scoppio del conflitto azero-armeno
Indice dei contenuti
All’indomani dell’ammaina bandiera lungo il pennone del Cremlino, venne nuovamente alla luce la questione del Karabakh, territorio azerbaigiano popolato anche da armeni. Con l’appoggio strisciante di Yerevan, Mosca e Teheran, la popolazione locale fu armata ed iniziò il lungo conflitto tra l’esercito regolare dell’Azerbaijan e le milizie indipendentiste locali. Per il diritto internazionale, il Karabakh è sempre stato parte dell’Azerbaigian, tanto che l’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh non è mai stata riconosciuta da alcuno Stato: nemmeno dalla stessa Armenia. C’è un accordo di pace alle porte?
Un processo accelerato dall’attuale contesto geopolitico
Le vicende delle ultime settimane, complice forse l’attuale congiuntura internazionale, hanno impresso una notevole accelerazione alla situazione sul campo. Con la riconferma di Erdogan alla Presidenza della Turchia e con la Russia sempre più impantanata nel teatro ucraino, si è aperta una finestra di opportunità che ha consentito a Baku una rapida risoluzione della questione del Karabakh.
L’Armenia stessa da diversi mesi, in vista di un possibile trattato di pace con l’Azerbaigian dopo la guerra dei primi anni 90 e la ripresa del 2020, aveva in più sedi ammesso di riconoscere l’integrità territoriale dell’Azerbaigian: si trattava, dunque, solo di procedere con il ripristino del controllo, anche di fatto, da parte del governo di Baku del territorio occupato e la formalizzazione dell’autonomia amministrativa della regione. L’intervento armato del 19 settembre, motivato in modo piuttosto classico con la necessità di rispondere all’uccisione con mine di militari e civili azeri, ha solo accelerato un processo inevitabile.
L’epilogo del conflitto
Pulizie etniche sono avvenute decenni fa da ambo le parti; ma non ora. Quei cittadini di etnia armena della regione che sono espatriati, lo hanno fatto di propria iniziativa (per quanto comprensibilmente) senza intervento da parte delle autorità politiche o minacce militari di Baku. La rapidità con la quale si sta svolgendo il processo sul territorio fa pensare che il governo armeno e anche molti dirigenti indipendentisti del Karabakh non vedessero l’ora di mettersi alle spalle la situazione di stallo in cui si trovavano e che non poteva avere altra via d’uscita – se non nei proclami nazionalistici di una parte molto minoritaria della politica in Armenia e in alcuni gruppi della diaspora. Ora si aprono nuove dinamiche, molto delicate ma con qualche opportunità positiva, pur fra diversi rischi.
Accordo di pace e guardando al futuro: il corridoio di Zangezur
Una di queste opportunità potrebbe essere il c.d. “corridoio di Zangezur” che, partendo dalla Turchia orientale, attraverserebbe l’enclave azerbaigiana del Nahicevan per poi entrare nel mainland dell’Azerbaijan attraverso una striscia di territorio armeno nella provincia dello Zangezur. Proprio alla fine dello scorso settembre, infatti, vi è stata una significativa visita del premier turco Erdogan che ha incontrato il Presidente azero Aliyev nel Nahicevan, per l’inaugurazione di una condotta gasifera proveniente dalla località turca di Igdir e destinata a rifornire l’isolata enclave, con i suoi circa 450mila abitanti.
Si prevede che a tale progetto se ne possano aggiungere altri, nel prossimo futuro, visto che in occasione dell’incontro tra i due presidenti è stata firmata un’intesa volta a prolungare la linea ferroviaria dalla città turca di Kars fino al Nahicevan ed a realizzare inoltre un’interconnessione elettrica tra le due nazioni turcofone. La prospettiva è però quella di collegare la condotta del gas all’infrastruttura azera di trasporto per garantire il c.d. reverse flow della materia prima azera verso l’Europa. Le dichiarazioni rilasciate dal Presidente turco Erdogan non lasciano infatti dubbi sulle intenzioni future del progetto turco-azero “Il gasdotto Igdir-Nakhicevan rafforzerà ulteriormente la nostra cooperazione nel settore energetico con l’Azerbaijan e contribuirà anche alle forniture di gas all’Europa”.
Lettura consigliata
Pechino coltiva l’illusione di un nuovo ordine mondiale con caratteristiche cinesi